giovedì 3 novembre 2011

OPETH: superato il punto del "non ritorno"?

OPETH “Heritage” (Roadrunner Records, 2011) – www.opeth.com

Tracklist:
01. Heritage
02. The Devil's Orchard (Video: http://youtu.be/G1pi7Dn87mY)

03. I Feel The Dark
04. Slither (Video: http://youtu.be/3JDaQP72PfI)

05. Nepenthe
06. Häxprocess
07. Famine
08. The Lines In My Hand (Video: http://youtu.be/tMj4CkCIHfM)

09. Folklore (Video: http://youtu.be/OleNkTc8D1E)

10. Marrow Of The Earth
11. Pyre (Bonus Track – Video: http://youtu.be/ndWUtmGOFRo)

12. Face In The Snow (Bonus Track)


Credere che un artista, nel corso della propria carriera, si interessi più ad accontentare i fans che a soddisfare se stesso, è come credere alle favole. Certo, qualcuno lo fa. Qualcuno preferisce proporre sempre la solita minestrina riscaldata pur di non rischiare di cadere rovinosamente, o per rimanere fedele alle esigenze di mercato (ma questa è un'altra storia). Gli Opeth, fin dalla loro nascita, hanno sempre dimostrato di essere unici, per certi versi ma, con l'avanzare della carriera, anche di essere uguali a pochi altri. Quei pochi altri che non si limitano a svolgere sempre lo stesso compitino, ma che preferiscono agire di testa propria, seguendo sì una certa evoluzione, ma pronti anche a mettersi nuovamente in gioco con cambiamenti radicali.
Cosa succede quindi con “Heritage”? Succede che la band torna a mettersi in gioco, in un certo senso, ma senza farlo con un cambiamento poi così radicale. "Ma come? Questi non sono gli Opeth che conoscevamo!", potrebbe già esclamare qualcuno. E invece no, questi sono proprio gli Opeth. Il ragionamento è anche abbastanza semplice: gli Opeth di “Heritage” non hanno fatto altro che "mettersi a nudo". E cosa vuol dire questo? Che se fino a un certo punto nella stessa creatura convivevano due anime ben distinte (ovvero death metal e progressive), adesso una delle due è stata messa in stand by. Åkerfeldt e soci non hanno fatto altro che abbandonare momentaneamente le influenze death e, soprattutto, metal, per lasciare spazio solo ed esclusivamente all'anima progressive. E, attenzione, non prog-metal, ma bensì prog settantiano, il rock che quarant'anni fa veniva definito come sperimentale, e che oggi sembra essere un vecchietto che (per fortuna) non ha nessuna voglia di andarsene in pensione.
Già il singolo "The Devil's Orchard" aveva fatto ben capire quale sarebbe stata la direzione intrapresa dalla band, lasciando più di un affezionato in leggero stato confusionale e altri, invece, nello sconforto più totale (i sostenitori del movimento "no growl, no party", per intenderci). Il pezzo, posto in apertura del disco, si impone anche con una certa furia, senza che ci sia necessariamente il bisogno di aggiungere doppia cassa e distorsioni prettamente più metal-oriented. A supporto c'è una produzione, affidata alle sapienti mani di Mr. Steven “Porcupine Tree” Wilson, che tenta (e un po' ci riesce) di essere il più scarna e "vintage" possibile. Sulla stessa linea anche una “Slither” (tributo personale di Åkerfeldt a Ronnie James Dio) che vira nettamente verso l'hard rock alla Deep Purple, o anche la sfuriata finale di “The Lines In My Hand”; tutti pezzi dove il "picchiatore" Axenrot (spesso additato dai fans come poco adatto alle sonorità di casa Opeth) sembra trovarsi più a suo agio. Ma non è esattamente così, perché le sorprese arrivano soprattutto dallo stesso drummer svedese, capace anche di deliziarci con un tocco delicato ed elegante che ben si sposa con le parti più lente e riflessive (il suo lavoro sulle ritmiche jazzate della splendida “Nepenthe” è solo uno dei tanti esempi a disposizione). La sezione ritmica risponde quindi più che bene ai "nuovi stimoli", grazie anche al basso di un Mendez in grande spolvero. Il tutto è corredato dall'ottimo lavoro dell'ormai ex-tastierista Per Wiberg (essenziale per quanto riguarda il lato atmosferico della musica) e dalle chitarre di Åkesson e dello stesso Åkerfeldt, quest'ultimo autore anche di una prova dietro al microfono a dir poco perfetta.
Molti dei brani a disposizione non garantiscono un impatto immediato, promettendo però delle vere e proprie soddisfazioni dopo una buona dose di ascolti, altri invece, pur non essendo diretti e coinvolgenti, riescono a farsi apprezzare anche dopo un paio di giri nel lettore. Nel secondo caso è doveroso fare riferimento alla bellissima “Folklore” (il finale è semplicemente da brividi) e Pyre, quest'ultima addirittura disponibile come bonus track per i possessori della limited edition. Un disco che è, in definitiva, come il buon vino: va assaporato con calma e, magari, ha bisogno anche di "invecchiare" un po'. “Heritage”, per essere compreso in pieno, necessita di continui e attenti ascolti, atti soprattutto a far emergere, poco per volta, ogni sua sfumatura. Un disco che, nel modo più assoluto, non è adatto a chi vuole tutto e subito, ma che ha bisogno di tanta, tantissima pazienza per essere compreso. (http://www.truemetal.it/reviews.php?op=albumreview&id=10140)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.


1 commento:

  1. Non li conoscevo! Cavolo che bel sound! Devo indagare al più presto ;-)

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