domenica 13 novembre 2011

FLEET FOXES: nuovi "vecchi" segreti & tesori nascosti


FLEET FOXES “Helplessness Blues” (Sub Pop/Bella Union, 2011) – www.fleetfoxes.com


Tracklist:
1. Montezuma (http://www.youtube.com/watch?v=cdN2bfov9JQ)
2. Bedouin Dress
3. Sim Sala Bim
4. Battery Kinzie
5. The Plains/Bitter Dancer
6. Helplessness Blues
7. The Cascades
8. Lorelai (http://www.youtube.com/watch?v=xtFrGCJrnKc&feature=related)
9. Someone You'd Admire
10. The Shrine/An Argument (http://www.youtube.com/watch?v=jrTEKlrUdFI&feature=related)
11. Blue Spotted Tail
12. Grown Ocean (http://www.youtube.com/watch?v=Ewkhr8dM86M&feature=related)


È facile intuire che questo “Helplessness Blues” dev’essere stato proprio una bella gatta da pelare per i Fleet Foxes. Provate solo a pensare cosa significhi dare un seguito a un debutto come il loro omonimo del 2008, un disco semplicemente troppo bello per essere vero, pienamente meritevole di tutte le lodi e le iperboli di cui è stato – ed è ancora – oggetto. Provate solo per un attimo a mettervi nei panni del giovane Robin Pecknold: un giorno in cameretta ad imparare, sulla chitarra, le canzoni di Dylan, Neil Young e Joni Mitchell con i tuoi migliori amici (fra i quali il chitarrista Skyler Skjelset) e prima ancora di rendertene conto ti ritrovi scaraventato su di un palco, folle estasiate di mezzo mondo che applaudono sotto di te, incantate dalle tue canzoni… Ora, come si fa a dare un seguito al più bello dei tuoi sogni? Non è impossibile, ma devi avere la capacità di riuscire a sognare tutto da capo. Devi trovare un modo per canalizzare positivamente le inevitabili tensioni del caso e scavare a fondo dentro te stesso in cerca di ispirazione e nuovi stimoli. Ma, soprattutto, devi cercare di farlo nella maniera più onesta possibile, sforzandoti di essere autentico e sincero con te stesso, con chi ti circonda, con chi si aspetta qualcosa da te. Ecco, “Helplessness Blues” è tutto questo. È un disco che tra i suoi solchi racchiude la sua stessa travagliata storia: per questo è vivo, dinamico, in continuo divenire. Ad un primo ascolto, sembra non possedere quella magia istantanea dalla quale ci siamo trovati inondati quando abbiamo sentito per la prima volta il debutto; ma è solo perché ad essa le nostre orecchie si sono abituate. Prima che immediato, questo è piuttosto un disco che cresce, ascolto dopo ascolto, e ti invita, ogni volta, a scoprirne segreti e tesori nascosti. (www.lifegate.it)
Sebbene certe dichiarazioni “pre-partita” del leader Robin Pecknold, che vagheggiava di similitudini con Roy Harper e Van Morrison, non vadano prese propriamente alla lettera, in "Helplessness Blues" si avverte un sostanziale bilanciamento del sound in favore di “quel” folk britannico progressivo, comunitario e itinerante, in voga in Inghilterra tra la fine degli anni 60 e l’inizio dei 70, rispetto alle tonalità più genericamente flower-power e west-coast. Un parziale avanzamento del loro baricentro stilistico che ha come emblema il brano più atipico e articolato del nuovo lavoro: "The Shrine/An Argument". Piccola suite art-folk di otto minuti in tre movimenti: una prima parte più tradizionale, tutta centrata sul picking e sul cantato del solo Pecknold, una seconda solenne e in levare, un po’ alla Arcade Fire e, infine, dopo un intermezzo chiesastico per sola voce e organo, una conclusione free e rumorista screziata da viola e fiati dissonanti. Un tentativo, decisamente riuscito, di valicare l’abituale seminato folk-pop, abile nel dosare esperimenti e variazioni senza penalizzare la melodia. Il segnale positivo di un gruppo che non ha intenzione di sedersi sugli allori del recente passato. (www.storiadellamusica.it)
Ascoltare i Fleet Foxes equivale a catapultarsi nel bel mezzo di una foresta, isolarsi dal consumismo, dalle televisioni, dalla pubblicità e da tutto quanto finisce per farti odiare ciò che c’è di bello nella modernità (sempre che ce ne sia). Modernità, tuttavia, è una parola che pare non esista nel vocabolario di Pecknold e compagni. La loro genuinità rimanda a decenni lontani, passati e irripetibili: si torna a riassaporare la bellezza del lavorare la terra, dell’allevare le bestie, di ballare per le strade, di vestirsi di quattro stracci fatti in casa. Niente virtuosismi, niente di altamente tecnologico. Solo i vecchi strumenti: chitarra acustica, batteria, tastiera, percussioni e voci e cori che rivestono il tutto. I detrattori saranno pronti ad accusare le ‘volpi’ di scarso coraggio per la sperimentazione e di scarsa propensione all’innovazione. A noi viene solo da dire che il combo di Seattle è qualcosa di sprecato per questi tempi e che dovremmo ritenerci fortunati l’aver potuto vivere per 50 minuti in una dimensione extratemporale. (www.indieforbunnies.it)
Rino De Cesare
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.



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