sabato 26 ottobre 2013

Il ritorno dei Pearl Jam: tradizione e prevedibilità da una parte e ricerca di nuove strade dall’altra… Ma non è detto che la migliore soluzione sia quest’ultima!


PEARL JAM “Lightning Bolt” (Monkeywrench/Universal, 2013) – www.pearljam.com

Tracklist:
1. Getaway (guarda & ascolta: http://youtu.be/n6F8AdBF0qw)
2.
Mind Your Manners (guarda & ascolta: http://youtu.be/jWQYYavheUA)
3. My Father’s Son
4.
Sirens (guarda & ascolta: http://youtu.be/qQXP6TDtW0w)
5. Lightning Bolt
6. Infallible
7. Pendulum (guarda & ascolta: http://youtu.be/Yabte-qS4k0)
8. Swallowed Whole
9. Let The Records Play (guarda & ascolta:
http://youtu.be/tZArHe4mlZ4)
10. Sleeping By Myself
11. Yellow Moon
12. Future Days

Per ascoltare l’intero album clicca qui: http://youtu.be/34pE_1sl_yQ

Sembra siano trascorsi secoli e invece è solo un ventennio fa che i Pearl Jam si accingevano, un po’ controvoglia, a varcare la soglia di un enorme successo, fino a diventare quello che sono oggi: dei “sopravvissuti” al rock, ma dalla immutata passione! È uscito lo scorso 15 ottobre e si intitola “Lightning Bolt” il nuovo album, il 10° della loro carriera. La prima cosa che colpisce è il titolo: mai prima d’ora era stato scelto riprendendo quello di una canzone in scaletta. Potrebbe esser considerata una minuzia, ma potrebbe anche rappresentare un piccolo cambiamento, uno dei tanti che si aggiunge ai molti già vissuti dalla band per via dell’età, dell’esperienza e dall’essere diventati “mainstream”. Ma una nota di merito va all’artwork del disco, da cui si evince l’occhio di riguardo che i Pearl Jam hanno sempre avuto nei confronti dell’arte. Per ogni brano è stata anche ideata un’immagine che ne riassume il messaggio, in modo lampante, facendo pensare che ci si trovi dinanzi ad un concept album.
Composto da dodici canzoni, le cui sonorità non si discostano di molto dal grunge (definizione di stile che oggi appare più come una parola svuotata da ogni significato), una piccola delusione quest’album potrebbe arrecarla a chi aveva sperato in una nuova fase della band, magari più sperimentale … ma non è così! Registrato agli Henson Recording Studios di Los Angeles, prodotto da Brendan O’Brien, la band ci ha lavorato sopra per quattro lunghi anni. Le aspettative erano tante, e per il suo lancio si è scelto di fare le cose in grande stile. Già nel mese di luglio, un countdown compariva sul loro sito ufficiale, indicando quanto tempo sarebbe trascorso dal lancio del nuovo singolo, “Mind Your Manners”, un pezzo punk rock, in classico stile PJ, quasi una rivisitazione in chiave moderna di “Spin the Black Circle” (contenuta nel loro 3° album “Vitalogy” del 1994). Segno che anche loro, come già accaduto alle grandi bands del passato come Rolling Stones o U2, arrivati a questo punto, sono costretti a cercare un compromesso, sia con i fans di lunga data – dei veri e propri integralisti, conservatori e tradizionalisti, ma solo verso i PJ, s’intende – sia con i nuovi, cresciuti a dismisura da quando Vedder compose la colonna sonora per il film di Sean Penn “Into the Wild” e che sempre più iniziano ad apprezzare la loro musica e i valori che li hanno resi grandi. Non tutti, del resto, optano per una scelta radicale come è capitato, ad esempio, agli R.E.M.: sciogliersi e lasciare che ognuno prenda la propria strada.
È in definitiva – e non poteva essere altrimenti – un disco che segna una nuova stagione per la band di Seattle, non più giovanissima, e i cui componenti sono ormai quasi tutti padri di famiglia. Certo, le sorprese non mancano, come “Infallible”, brano scritto a quattro mani da Stone Gossard e Jeff Ament, il cui sound ha un gusto dal sapore vintage che a tratti sfocia nel funky, o “Pendulum”, “Future Days” e “Yellow Moon”, pezzi che sarebbero stati buoni per “Into The Wild”, e che non mancheranno di affascinare la nuova leva di fans. La blueseggiante “Let The Records Play”, invece, riecheggia un Neil Young d’antan: lo “Zio Neil” a cui il disco è dedicato. Il brano d’apertura, la potente “Getaway”, mette subito le cose in chiaro, come a dire “tranquilli, nonostante tutto, siamo sempre Noi”. (Pasquale Rinaldis, www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/19/musica-il-ritorno-dei-pearl-jam-con-lightning-bolt/749585/)

“RADI@zioni/N.R.G.” è un programma ideato da Camillo Fasulo e realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Gabriella Trastevere, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.




sabato 19 ottobre 2013

Che si alzi il sipario: il “mountain king” è tornato! Con “Raise The Curtain” Jon Oliva si ripresenta in una veste un po’ diversa dal solito.


OLIVA “Raise The Curtain” (AFM Records / Audioglobe, 2013) – www.jonoliva.net 

Tracklist:
01. Raise The Curtain (guarda & ascolta: youtube.com/watch?)
02. Soul Chaser (guarda & ascolta: youtube.com/watch?)
03. Ten Years
04. Father Time (guarda & ascolta: youtube.com/watch?)
05. I Know
06. Big Brother
07. Armageddon
08. Soldier (guarda & ascolta: youtube.com/watch?)
09. Stalker (guarda & ascolta: youtube.com/watch?)
10. The Witch
11. Can't Get Away
12. The Truth (bonus track)


“Raise The Curtain” non è un nuovo disco dei Jon Oliva’s Pain, ma trattasi invece di un primo disco solista vero e proprio per il famoso frontman di quella mitica band che furono i Savatage. Fatta questa prima doverosa precisazione, passiamo subito ad affrontare ciò che si è rivelato il nostro nemico numero uno durante tutti i numerosi ascolti dedicati a questo lavoro: le aspettative! Inutile girarci intorno o mentire a se stessi: chi, tra voi, nel vedere la sontuosa copertina di questo disco non ha pensato subito alle copertine e allo stile dei grandi Savatage? Ci immaginiamo ben poche mani alzate. È giustificabile, quindi, il fatto di avvicinarsi a quest’album con delle aspettative un po’ particolari, anche perché altrimenti non ci sarebbe sembrato nemmeno troppo sensato presentarsi semplicemente con la semplice denominazione di Oliva. E in effetti c’è qualcosa di molto diverso in queste undici tracce, una musica che non è in linea con i lavori recenti dei Jon Oliva’s Pain e non bada nemmeno a ricalcare troppo il sound dei vecchi album dei Savatage. Un po’ spiazzati? Vi assicuriamo che lo siamo stati anche noi nell’ascoltarlo. L’introduzione al disco è infatti affidata alla traccia che intitola l’album: un masterpiece di rock progressivo (davvero!) quasi completamente strumentale, che alterna alcuni cori a lunghi passaggi strumentali dove le tastiere impazzano alla grande! Il suono è molto settantiano. L’interruzione a queste atmosfere così atipiche ci arriva in corrispondenza della seconda traccia, una battagliera “Soul Chaser” che si piazza a metà tra il sound corposo dei JOP e l’aggressività dei Savatage di “Hall Of The Mountain King”. “Father Time” ci spiazza di nuovo perché propone, su una base indiscutibilmente hard, degli input jazz-rock assolutamente inaspettati: l’Hammond alla Jon Lord si snoda imperioso per tutto il pezzo, convincendoci che se questo brano fosse stato cantato da Ian Gillan, e non da Jon Oliva, non avrebbe stonato sull’ultimo “Now What?” dei Deep Purple. “Big Brother” e “Armageddon” rappresentano il lato più duro dell’album, riprendendo il metal elegante e di classe delle due bands rese grandi dal corpulento compositore; ma a colpirci di più è ancora una volta una ballad, quella bellissima “Soldiers” che ci regala pianoforte e fiati in quantità, facendoci sognare per tutta la durata del brano. E se “The Witch” propone un ultimo squarcio di puro metal prima della chiusura dell’album, troviamo ancora spazio per due inaspettati jolly quali la blueseggiante “Can’t Get Away”, veramente particolare, e per le aperture orientaleggianti di “Stalker”.

Che dire? Non è un nuovo album dei Savatage, è vero, ma a questo punto ci chiediamo: avrebbe senso? Per sua natura, la band floridiana ha sempre evitato di proporre un cliché. E se quindi tra i fan c’è chi pregherebbe perché Oliva componesse ora un successore del grandissimo “Hall Of The Mountain King”, altrettanti ne possiamo trovare che pagherebbero per un secondo “Streets”, o anche per un più concreto e metallico seguito di “Edge Of Thorns”. I Savatage, ma Jon soprattutto, sono sempre stati così: incapaci di autoingabbiarsi in uno stile strutturato e ripetibile. L’ispirazione non gli è mai venuta meno, ed è forse per questo che tanti fans hanno come album preferito un disco ogni volta diverso. Se vogliamo identificare nell’ispirazione e nella creatività i tratti caratteristici del songwriting di Jon Oliva, possiamo tranquillamente dire che “Raise The Curtain” sia un centro pieno! Un album sognante e sincero, spinto forte in avanti dagli impetuosi venti di una vena creativa che evidentemente ancora non si è spenta. Un album quindi molto buono, il cui unico difetto è quello di mancare di un brano epocale, di quelli in grado di gareggiare con l’ingombrate eredità artistica del suo stesso creatore. Per contro però, qui non c’è scappato nemmeno un attimo di noia (http://metalitalia.com/album/oliva-raise-the-curtain/).


“RADI@zioni/N.R.G.” è un programma ideato da Camillo Fasulo e realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Gabriella Trastevere, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.



sabato 12 ottobre 2013

Robyn Hitchcock celebra la vita in un panorama culturale dominato dal collasso economico e ambientale


ROBYN HITCHCOCK “Love From London” (Yep Records, 2013) – www.robynhitchcock.com/

Tracklist:
1. Harry’s song (guarda & ascolta: http://youtu.be/HhckUW45tBo)
2. Be still (guarda & ascolta: http://youtu.be/_NHstj2gM7U)
3. Stupefied
4. I love you (guarda & ascolta: http://youtu.be/BfEkX6expHQ)
5. Devil On A String
6. Strawberry Dress (guarda & ascolta: http://youtu.be/eJetFg9UwYo)
7. Death And Love
8. Fix You
9. My Rain
10. End Of Time (guarda & ascolta: http://youtu.be/tQaHJN9m1mg)


Appuntamento imperdibile questo di “Love From London”, il più recente album realizzato da Robyn Hitchcock, appena sessantenne e sempre con quella determinata volontà di porsi una tacca in più oltre le visionarietà dell’odierno panorama rock. L’ennesimo brioso, stralunato e sghembo gioco al rimbalzo di un carattere “psichedelico” – quello di Mr. Hitchcock – che confina con i pianerottoli di un Syd Barret metafisico e decisamente pop.
E con questo sono diciannove i lavori in studio dell’artista anglosassone. “Love From London” ci porta lontano dai tempi della sua “infanzia” con i Soft Boys, ci fa ricordare i suoi tempi recenti con le sperimentazioni di gruppo (vedi i Venus 3), e va subito a rappresentare la parte più originale di una “seconda giovinezza” decisamente più pensante e con prese rapide di coscienza, tanto che Hitchcock allunga pensieri su fattori ambientali, della natura e di un globo infestato da economie facilone e furbastre, forse una responsabilità interiore scoppiata di recente. E come a disilludersi o scongiurando scenari catastrofici, il suono medita, scatta, si fa beat. Dieci tracce adattissime a stati d’animo presi nel momento di rilascio tensione, e su tutte, comunque, svetta la grazia meticolosa di un artista, di un ex “enfant prodige” che non seleziona flussi accattivanti o infinocchiamenti radiofonici bensì, ancora una volta, fa il punto della sua situazione umana e di quella che lo circonda, e poi nascono dischi come questo, un viaggetto, un bel pezzo di strada asfaltata tra sogni e realtà condivisa.
Sessant’anni non sono molti ma nemmeno pochi. Una via di mezzo in cui possono crescere nuove creatività. E come a non demordere, al giro di boa, Hitchcock si confessa ad un pianoforte con “Harry’s song”, si incammina sulle strisce pedonali della Abbey Road con “Stupified”, fa un bel giro di shake con “Devil on a string” e “Fix you”, per finire a sculettare in un bellissimo tramonto quasi “bowieano” con “End of time”, tutte mosse sonore che, elegantemente, portano questo nuovo disco a smaliziarci ancor di più e alzano l’arte di questo attempatello menestrello ad una nuova e splendida modalità anagrafica (www.indieforbunnies.com/2013/03/15/robyn-hitchcock-love-from-london/).
“RADI@zioni/N.R.G.” è un programma ideato da Camillo Fasulo e realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Gabriella Trastevere, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


PORTUGAL, THE MAN: "Evil Friends" è semplicemente un disco pop… un buon disco pop!


RADI@zioni / Disco Hot N° 18:
PORTUGAL, THE MAN “Evil Friends” (2013)


A soli due anni dal precedente album, “In The Mountain, In The Cloud”, arriva questo “Evil Friends” dall’orribile copertina… ma non fatevi ingannare dalle apparenze!

“Evil Friends” è il settimo album da studio e il secondo consecutivo con una major per PORTUGAL, THE MAN, band statunitense che arriva dall’Alaska e che ripropone il proprio ormai rodato sound a base di pop, deviazioni orchestrali, influssi psichedelici ed elettronica massiccia.
Ospite particolare è Mr Danger Mouse in veste di musicista oltre che di produttore.
PORTUGAL, THE MAN offrono un buon mix di psichedelia in salsa sixties, pop, rock & folk. Tutti elementi questi che fanno di “Evil Friends” un lavoro estremamente vario. Sicuramente uno dei migliori realizzati dalla band. Un pacchettino ben confezionato che si presenta come un lavoro divertente e assai gradevole, dove la band ci mette anche parecchio impegno. Se all’inizio sembra più cervellotico del previsto, alla fine, quel che resta delle canzoni, è ben identificabile. È semplicemente un disco pop… un buon disco pop!
(a cura di Carmine Tateo)

Tracce consigliate:
MODERN JESUS (guarda & ascolta http://youtu.be/q8e1sSNsf44)
ATOMIC MAN (guarda & ascolta http://youtu.be/SuLJbe-cfX4)
PLASTIC SOLDIERS (guarda & ascolta http://youtu.be/7brVyb8MomQ)

sabato 5 ottobre 2013

BLACK SABBATH: La band inglese è tornata per ricordare a tutti da dove arriva l’heavy metal!

BLACK SABBATH “13” (Vertigo, 2013) – www.blacksabbath.com

Tracklist:
01. End Of The Beginning (guarda/ascolta: http://youtu.be/sjFiOxSHHmo)
02. God Is Dead?
03. Loner
04. Zeitgeist
05. Age Of Reason
06. Live Forever (guarda/ascolta: http://youtu.be/ppI1nqZxPTQ)
07. Damaged Soul (guarda/ascolta: http://youtu.be/A3dstAb3Jvo)
08. Dear Father (guarda/ascolta: http://youtu.be/mUOqthlpCXs)

I padri fondatori dell’heavy metal ritornano con il primo disco da studio cantato da Ozzy da 35 anni a questa parte.
“13” comincia, com’è giusto che sia, con un possente riff: “End of the beginning” è praticamente la rivisitazione di “Black Sabbath”, la auto-intitolata canzone manifesto del primo eponimo album della band di Birmingham, Anno Domini 1970, solo che qui siamo nel 2013!
Se la sono giocata bene anche questa volta, i Black Sabbath. In mezzo a tutta la cieca adorazione di cui gode questa band ci si scorda che ogni album realizzato dall’originale quartetto aveva una sua precisa particolarità. “Black Sabbath”, l’esordio, era a dir poco sorprendente con il suo stile quasi blues; “Paranoid” oscillava da un polo emotivo all’altro; “Master Of Reality” era una iniezione di sangue alla testa mentre “Vol. 4” rappresentava la successiva e inevitabile fase calante tipica di un tossico; “Sabbath Bloody Sabbath” era sperimentale, “Sabotage” un grande esercizio psico-mentale. Persino “Technical Ecstasy” e “Never Say Die” erano diversi. Non necessariamente per forza “buoni”, ma diversi. E qui sta il punto: “13” ha un altro sound rispetto a tutti questi lavori, ma ha un “trade mark”, un marchio di fabbrica che solo gli originali Sabbath possiedono, e non ci sono cloni né epigoni che tengano!
Ovviamente gli originali Black Sabbath non sono al completo. A questo banchetto manca l’originale batterista Bill Ward. E se vi starete chiedendo se la sua mancanza si avverta sul disco … La risposta è “sì”! Manca quella ritmica così tipica ma anche così folle di Bill. E lo stesso discorso vale anche, a volerci prestare attenzione, per la produzione affidata a Rick Rubin: fin troppo precisa e rifinita. Un po’ di sano caos, in tutto quest’ordine, non avrebbe guastato. Comunque, quello che è fatto è fatto. “13” non sarà bello come i primi sei dischi dei Sabbath (quelli con Ozzy Osbourne, per intenderci!), ma è mille volte meglio di gran parte di ciò che è venuto dopo, e molto più di quello che ci si sarebbe aspettati da tre uomini in età da pensione e che non hanno più nulla da dimostrare.
… E alla fine il cerchio si chiude! La possente traccia che conclude l’album termina con un rabbrividente rombo di tuono, il suono di una campana “a morto” e il rumore di una tempesta che si avvicina. Gli stessi minacciosi suoni che aprivano il loro leggendario album di debutto, ormai una vita fa! E questa non è, ovviamente, una coincidenza!
“13” è stato uno dei ritorni più attesi dell’anno ed è stato progettato con una precisione quasi scientifica. Non è assolutamente una cosa fatta tanto per. E poi che il disco suoni inequivocabilmente come un Black Sabbath d’annata, condizioni meteo comprese, non è una sorpresa, ma potrebbe esserlo il fatto che sia anche così dannatamente buono! E se dovesse, per davvero, rivelarsi il loro ultimo disco (e le condizioni di salute dei componenti, comprese alcune non trascurabili rivelazioni rilasciate alla stampa e presenti su questo disco, suggeriscono che l’ipotesi sia tutt’altro che remota), allora non c’è alcun dubbio che sia il miglior modo per chiudere questo “magico cerchio”!
(“Classic Rock Lifestyle” N° 009 / Agosto 2013, pagg. 122-123)
“RADI@zioni/N.R.G.” è un programma ideato da Camillo Fasulo e realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Gabriella Trastevere, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


FRANZ FERDINAND: Punk, funk, new wave e un pizzico di Brit Pop!

RADI@zioni / Disco Hot N° 17:
FRANZ FERDINAND “Right Thoughts, Right Words, Right Action” (2013)
Ritorno alla grande per la band scozzese con un disco che renderà più accettabili le giornate post equinozio autunnale!
I FRANZ FERDINAND sono stati capaci di trasformare l’indie rock in un genere di massa. Proprio loro, che provengono da anni passati a suonare, appunto, nei club alternativi e poco frequentati.
Questo “Right Thoughts, Right Words, Right Action” suona proprio come un album dei FRANZ FERDINAND, con una ritmica essenziale, plastica e oliata, con chitarre scatenate e perfettamente domate, i cori armonizzati a dovere … insomma del buon pop suonato in maniera intelligente! Un album più completo e, per questo, più apprezzabile fin dai primi ascolti. British pop fino al midollo, tanto da poter fare paragoni con le grandi band del passato. Bentornati Franz Ferdinand! Gran disco questo “Right Thoughts, Right Words, Right Action”!
(Carmine Tateo)

Tracce consigliate:
Evil Eye (guarda/ascolta: http://youtu.be/IIR5vBiC3ig)
Stand On The Horizon (guarda/ascolta: http://youtu.be/uu-SHZkWdWU)
Bullet (guarda/ascolta: http://youtu.be/8lU77RVeWpA


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