giovedì 28 aprile 2011

SUBSONICA: si dice in giro che "Eden" sia il loro disco più "pop"...


SUBSONICA “Eden” (2011)

Era da un po’ di tempo che il nome dei Subsonica non balzava agli onori della cronaca musicale, vuoi per le varie collaborazioni dei componenti ad altri progetti, vuoi per la presunta mancanza di idee nascosta con la pubblicazione di un “inutile” greatest hits…
il forzato isolamento in una casa vicina ad un bosco pare che dei risultati, anche se modesti, li abbia dati… Certo, la strada che li possa ricondurre a bissare il clamoroso successo di “Microchip Emozionale” è ormai lontana, e in una canzone di questa raccolta lo ammettono ironicamente anche loro, ma certo drum’n’bass riemerge qua e là.
“Eden” sembra avere un lato “A” e un lato “B” dove quest’ultimo è la parte migliore anche se in linea con la “vecchia” linea dei Subsonica. Qualcuno potrebbe lamentare che questo disco non regga il confronto con il loro passato, ma l’importante è che la band stia rientrando in carreggiata… o almeno, lo speriamo!

(Carmine Tateo)

per qualsiasi commento scrivete a: carmine.taty@live.it


ELBOW: pop colto e raffinato... quasi neo-prog!

ELBOWBuild A Rocket Boys!" (Universal, 2011) – www.elbow.co.uk

Tracklist:
The birds
Lippy kids
With love
Neat little rows
Jesus is a Rochdale girl
The night will always win
High ideals
The river
Open arms
The birds (reprise)
Dear friends


Manchester: dev'esserci qualcosa di speciale nell'aria dell'uggiosa città inglese. Nonostante il passare degli anni e il rinnovarsi degli stili musicali, da queste case di mattoni rossi continuano ad uscire gruppi notevoli. Uno degli ultimi a entrare (anche se tardivamente) nelle cronache musicali sono stati gli Elbow, formatisi proprio a Ramsbottom, piccolo centro nel nord dell'area urbana di Manchester. Molto sottovalutati ad inizio carriera, i cinque sono arrivati alla consacrazione nel 2008 grazie all'ottimo "The Seldom Seen Kid". Ora, a distanza di tre anni, "Build A Rocket Boys!" riporta sulle scene questo collettivo guidato dal barbuto Guy Garvey, uno che a vederlo sembrerebbe tutto tranne che una rock star. A vederlo, appunto. Perché quando inizia a cantare è tutta un'altra storia (http://www.rockol.it/recensione-4547/Elbow-BUILD-A-ROCKET-BOYS).
Isola di Mull, Arcipelago delle Ebridi Interne, Scozia orientale: paesaggio brullo e desolato, atmosfera uggiosa, il vento che ti sferza la faccia e la pioggia, fitta e leggera, che non sembra nemmeno che ti stia bagnando. Un gregge di pecore attraversa pigramente la strada e ti tocca aspettare a motore spento. Fai anche un cenno con la mano al pastore che invece ti ignora. Passa e va. Un pub oscuro e fumoso con le panche di legno e i vecchi avventori dalle ogte rosse che urlano con un bicchiere di whisky tra le mani. È qui che la band di Manchester si è ritirata per registrare l’atteso seguito di quel “The Seldom Seen Kid” (un estratto del quale, “Grounds For Divorce”, è stato anche scelto dai fratelli Coen per il trailer di “Burn After Reading”) che aveva stregato critica e pubblico,e questa scelta si riflette ancora una volta nell’intensa malinconia del loro nuovo lavoro (http://www.piacenzasera.it/app/document-detail.jsp?id_prodotto=6107&IdC=1146&tipo_padre=0&IdS=1146&tipo_cliccato=0&com=c)
Gli Elbow non sono certo degli esordienti: l'album in questione è il loro 5° in studio. Le differenze stilistiche con il precedente disco non sono molte, ma quello che stupisce è la qualità delle canzoni che il gruppo riesce a proporre anche stavolta. L'iniziale "The Birds", ad esempio, costruita su un crescendo lento e inesorabile, potrebbe non convincere ai primi ascolti ma si dimostra col tempo una grande canzone, mirabile per come incastra la voce di Garvey in un tappeto di tastiere e archi. Merito di un arrangiamento apparentemente minimalista, ma in realtà complesso e stratificato, seguendo un po' la lezione di Peter Gabriel e un po' quella dei Radiohead post "Kid A". E proseguendo nell’ascolto non mancano altre belle sorprese: "Lippy Kids", guidata da un loop di pianoforte, arricchita dallo Halle Youth Choir, è uno stupendo affresco sulla gioventù di Manchester tra passato e presente, tra i ricordi di Garvey da bambino e gli angoli delle strade di oggi… un tema portante del disco, in modo curiosamente simile a quello di "The Suburbs" degli Arcade Fire. Nostalgia e malinconia a parte, ci sono anche un paio di brani più movimentati: "Neat Little Rows", non a caso scelta come singolo e costruita su un robusto riff di basso, e "High Ideals", altro pezzo brillante, arricchito da un synth tanto bello quanto inaspettato. Il cerchio si chiude con la rilassata "Dear Friends", una ballata che Guy dedica ai suoi compagni della band e che suona come la fotografia esatta della band in questo momento. Dopo la consacrazione di "The Seldom Seen Kid", possiamo tranquillamente affermare che "Build A Rocket Boys!" sia il disco della conferma: gli Elbow sono un'ottima band, in grado come poche di fare musica pop colta ma al tempo stesso fruibile (http://www.rockol.it/recensione-4547/Elbow-BUILD-A-ROCKET-BOYS).
Un consiglio: è un disco da ascoltare in cuffia, per meglio apprezzare la cura maniacale degli arangiamenti, la precisione e lo stile dei dettagli, la raffinatezza delle sovrapposizioni tra trame classiche, effetti digitali e campionamenti. Le stelle polari per gli Elbow sono i capostipiti del rock britannico colto e ambizioso: Eno, Fripp, Wyatt, Sylvian e, soprattutto, Gabriel (in “The River” la voce di Garvey ricorda in maniera davvero spaventosa quella dell’Arcangelo di Bath) (http://www.piacenzasera.it/app/document-detail.jsp?id_prodotto=6107&IdC=1146&tipo_padre=0&IdS=1146&tipo_cliccato=0&com=c)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.


domenica 17 aprile 2011

Daniel Martin Moore: canti gospel e tradizione americana rivisitata

DANIEL MARTIN MOORE “In The Cool Of The Day” (Sub Pop, 2011)

Tracklist:
01. All Ye Tenderhearted
02. Dark Road
03. O My Soul
04. In The Garden
05. Closer Walk With Thee
06. Up Above My Head
07. Softly and Tenderly
08. In The Cool Of The Day
09. It Is Well With My Soul
10. Lay Down Your Lonesome Burden
11. Set Things Aright

Quella della genesi di "In The Cool Of The Day", terzo album di Daniel Martin Moore, è una storia legata a doppio filo alla tastiera di un pianoforte a coda: da una parte, lo scricchiolante piano attorno al quale, da bambino, il cantautore del Kentucky si raccoglieva con la famiglia per cantare gli inni sacri della tradizione americana; dall'altra, un vecchio Steinway che campeggia nello studio della WXVU di Cincinnati, radio presso la quale Moore si era recato per un'intervista e una performance live. L'idea di una raccolta di canti gospel ronzava nella mente del songwriter statunitense da diverso tempo, ed è bastato che le sue dita si posassero sui tasti del maestoso strumento a coda utilizzato dalla Cincinnati Symphony Orchestra, perché quell'idea si facesse di nuovo strada tra i suoi pensieri. "In The Cool Of The Day" è una collezione di inni religiosi della tradizione, cui si aggiungono quattro composizioni originali scritte da Moore nella stessa vena. Il titolo è un omaggio a Jean Ritchie, cantautrice del Kentucky definita "The Mother of Folk" e autrice fra gli altri del salmo "Now Is The Cool Of The Day", che appare qui in una sentita interpretazione pianoforte e voce (www.ondarock.it).
Il risultato è un disco caldo, avvolgente, fatto di partiture tanto scarne quanto evocative. Moore si mostra rispettoso nei confronti del passato, ma la sua rilettura non è pedissequa e soprattutto non manierata. Forte di un approccio genuinamente passionale, il musicista evita abilmente la trappola del nostalgismo più sterile o dell'arido formalismo, regalandoci undici quadretti in cui la spiritualità gospel è spogliata dei suoi orpelli più sontuosi e calata in un contesto intimo, minimale, elegiaco. Non mancano i passaggi più frizzanti, concentrati soprattutto nella prima metà dell'opera. “Dark Road” sfodera un brillante piglio country, con tanto di intrecci di banjo, violino e slide. “In the Garden”, dal canto suo, gioca con lo swing, con tanto di contrabbasso ostinato, batteria spazzolata e lievi tocchi di piano; stesso discorso per “Up Above My Head”, la quale incorpora anche elementi blues. Il tono preminente, tuttavia, è quello dimesso e raccolto. “O My Soul”, uno degli inediti, è una carezza a tempo di valzer impreziosita da un organo da chiesa e lanciata in un crescendo emozionante, che se l'avesse intonato Jeff Buckley si sarebbe colorato di elettricità. “Softly and Tenderly” è una tenera nenia arrangiata per piano e chitarra, impreziosita dal controcanto di Haley Bonar ed innervata di archi che danzano leggeri. In definitiva, con "In The Cool Of The Day" Moore ha dimostrato come il confronto con la tradizione lasci ampi spazi ad un approccio che contempli una rilettura ed una rielaborazione personali, elementi fondamentali per la buona riuscita di operazioni di questo genere, le quali, altrimenti, rischiano di rimanere impregnate di un tanfo di vecchiume. Il giovane Daniel ha evitato il rischio alla grande, consegnandoci un lavoro di fattura assolutamente pregevole, opera di un artigiano di livello superiore (www.labottegadihamlin.it).
(Rino De Cesare)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.


sabato 2 aprile 2011

BRITISH SEA POWER - "Valhalla Dancehall" non è proprio il solito brit-pop

BRITISH SEA POWER “Valhalla Dancehall” (2011)

Anche se non molto apprezzato dalle varie riviste specializzate, l’ultimo lavoro della band di Brighton lascia piacevolmente sorpresi! La prima cosa che salta subito alle orecchie, dopo il primo ascolto è la frammentarietà della scaletta, o meglio la non omogeneità del materiale contenuto… ma forse sta proprio qui il bandolo della matassa… l’elemento accattivante nascosto!
Le 2 tracce d’apertura danno l’impressione di essere davanti al solito disco targato BSP, ma proseguendo nell’ascolto ci si imbatte in una “wave notturna” che lascia come minimo spiazzati. Non è proprio il solito brit pop. Clamoroso il finale del disco: uno psychedelic-ambient di ben 11 minuti, ma resta il fatto che “Dancehall Valhalla” si conferma manifesto di un attitudine, quella dei British Sea Power, che merita attenzione se non altro per il coraggio delle proprie scelte… Piacevole riconferma!
(Carmine Tateo)

venerdì 1 aprile 2011

JOAN AS POLICE WOMAN: "The Deep Field" è un album squisitamente maturo

JOAN AS POLICE WOMAN “The Deep Field” (Pias, 2011) - www.joanaspolicewoman.com

Tracklist:
01. Nervous
02.
The magic
03.
Action man
04.
Flash
05.
Run for love
06.
Human condition
07.
Kiss the specifics
08.
Chemmie
09.
Forever and a year
10.
I was everyone


È con un colpevole ritardo che vi voglio segnalare questa perla, un album che quest’anno farà parlar molto, ne sono certo. La protagonista in questione è la quarantenne Joan Wasser, da tutti meglio conosciuta come Joan As Police Woman. La songwriter statunitense ha già all'attivo ben 4 albums (uno dei quali di sole covers, ma ufficialmente non in commercio) e con questo, sono 5! Ingredienti base: indie rock, folk, synth e un pizzico di funk, ma soprattutto tanto, ma tanto, soul (http://indiexplosion.blogspot.com/2011/02/joan-as-police-woman-magic.html). «Il nuovo disco di Joan Wasser si chiama “The Deep Field” dal nome di una immagine catturata dal telescopio spaziale Hubble in una remota regione della costellazione dell'Orsa Maggiore. Si parla dello spazio profondo per parlare in realtà delle galassie dentro di noi: “l'interiorità profonda delle nostre vite...anche quello è infinito”» (Riccardo Bertoncelli - http://delrock.it/album/2010/joan-as-police-woman-deep-field.php).
L'evoluzione della musica indie ha spostato l'asse gravitazionale del rock contemporaneo; la maturità, che permette agli Arcade Fire di realizzare, senza cadute, album dal tono più classico e mainstream, sta contagiando le produzioni recenti in modo capillare e con risultati interessanti. Affiancandosi alla rinnovata creatività di altre uscite di questi ultimi mesi (Decemberists, John Grant o Black Keys tanto per citare qualche nome), il nuovo album di Joan As Police Woman certifica la consapevolezza dei musicisti indie di potersi misurare con le ambizioni del rock adulto senza per questo perdere la propria identità (http://www.ondarock.it/recensioni/2011_joanaspolicewoman.htm).
Quella di Joan Wasser, è una carriera costellata di stelle del firmamento musicale; la cantante originaria del Maine (che alcuni di noi hanno conosciuto tra le pagine del romanziere Stephen King) vanta infatti collaborazioni musicali non indifferenti: Nick Cave, Lou Reed, Antony and The Johnsons oltre ad una relazione con Jeff Buckley terminata con la scomparsa del cantante nel 1997. Nata come violinista, Joan suona anche piano e chitarra ma è la sua voce a renderla davvero speciale. Nei suoi precedenti lavori ha dimostrato di riuscire ad adattarsi a diversi generi ed atmosfere musicali; nel suo album di debutto “Real Life” ci mostra uno stile ibrido tra l’indie e il soul con accompagnamenti semplici di piano e percussioni; in “To Survive” invece i brani sono caratterizzati da suoni più cupi e da una voce malinconica e coinvolgente in uno stile che si avvicina al R’n’B. “The Deep Field” invece è l’album più indie/R’n’B con qualche sfumatura rock (http://www.beatbear.com/joan-as-police-woman-the-deep-field.html).
«È un disco affascinante e imperfetto, che Joan camuffa definendolo il più estroverso e gioioso di tutto il suo repertorio. Ma non è vero, e i “giovani Werther” all'ascolto non devono pensare nemmeno per un attimo che la loro eroina li abbia traditi. No, Joan continua a seguire le onde inquiete della sua mente, a tormentarsi con le domande, a non credere alle risposte, anche se afferma che “ci sono già abbastanza bassi nella vita e io non ci tengo proprio a crogiolarmi, voglio spassarmela, invece”. “Spassarsela” nella sua lingua sarebbe scrivere una canzone insulsa come “Human Condition” e pretendere di ballarci su o spingere il ritmo fino al “beat urbano tribale” di “Nervous” pensando che quella possa essere una credibile forma di rock, “estroversa e gioiosa”. C'è una canzone che spiega tutto meglio di ogni altra ed è “I Was Everyone”, lo struggente finale. Joan si immedesima nella sua eroina, Giovanna d'Arco, e non sa decidersi se accettare la chiamata a una vita speciale oppure no. Quando scrive canzoni del genere, quando le canta con travolgente sincerità, Joan è incantevole e disarmante, Qualcosa mi dice che l'indecisione di “I Was Everyone” non si risolverà mai, e per fortuna! Meglio non liberarsi di tutti i dubbi, sarebbe come svuotare l'alambicco dell'ispirazione. Meglio scrutarli con il telescopio Hubble della propria mente ed esorcizzarli così, con bella musica e il sincero racconto giorno dopo giorno”» (Riccardo Bertoncelli - http://delrock.it/album/2010/joan-as-police-woman-deep-field.php).
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.


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