sabato 21 dicembre 2013

SAVAGES: Istinto selvaggio e sentimenti primordiali!


SAVAGES “Silence Yourself” (Matador Records/Pop Noire, 2013) - www.savagesband.com

Tracklist
01. Shut Up (guarda&ascolta)
02. I Am Here (guarda&ascolta)
03. City's Full
04. Strife
05. Waiting For A Sign (guarda&ascolta)
06. Dead Nature
07. She Will (guarda&ascolta)
08. No Face
09. Hit Me
10. Husbands
11. Marshal Dear (guarda&ascolta)


La storia inizia circa sul finire degli anni ’70 quando un ragazzo di nome Ian, appassionato di poesia e di musica rock, ha l'occasione di mostrarsi al pubblico di Manchester con la sua band: i Joy Division. La storia finisce nel maggio del 1980 quando il giovane Ian, ventiquattro anni appena, chiude il suo patto con il mondo impiccandosi nell'abitazione della natia Macclesfield, Cheshire, UK, inconsapevole di rappresentare da lì in avanti l'iconografia del post-punk, di aver gettato le fondamenta dell'intero movimento dark e d'incarnare il prototipo del dramma esistenziale post-moderno. Va bene, l’abbiamo presa un po’ alla larga, ma qualcuno potrebbe facilmente prendere spunto da questa storia per spiegare chi siano le Savages. Intanto arrivano da Londra e sono una band interamente femminile! C’è una voce androgina, quella di Jehnny Beth, c’è una chitarra corrosiva che è quella di Gemma Thompson e ci sono delle ritmiche di basso e batteria grazie a Ayse Hassan e Fay Milton. Ma non solo il suono avvicina la band di queste quattro londinesi ai quattro di Manchester. Ciò che rende appassionato e indissolubile il legame tra le compositrici di “Silence Yourself” e gli “sconfitti” di “Unknown Pleasures” è l'istinto, quel sentimento primordiale del compiere un'azione senza la necessità di elaborarla o di concepirla. E in effetti le Savages, con questo lavoro d’esordio non vogliono recapitarci qualcosa che già non sia in nostro possesso; loro pretendono di trasmettere l’unione tra la fisicità strumentale e la cruda emotività delle parole, prendendo a schiaffi i sentimentalismi scontati e suggerendo l’opportunità di starsene zitti, una volta ogni tanto. Le 4 Savages sono donne che vogliono fare le donne. Portatrici di un femminismo coscientemente femminile, non giocano a fare i maschietti agli strumenti, rimanendo fedeli alla sensibilità e alla forza che le contraddistingue. “Silence Yourself” è un disco muscolare e diretto, istintivo, che mozza il fiato come un pugno nella bocca dello stomaco, ma che in alcuni momenti accarezza con delicatezza le nostre teste, come a voler mostrare che una botta, seppur violenta, è necessaria per apprezzare il mondo che ci circonda, nitido, diretto, esente da quelle falsità strumentali che conducono invece alla Violenza vera, quella con la “V” maiuscola (http://www.ondarock.it/recensioni/2013_savages_silenceyourself.htm).
Sono un gruppo onesto le Savages e lo ammettono subito che in “Silence Yourself” non c’è nulla che musicalmente non si sia già visto e sentito. L’essenzialità della copertina in “black & white”, i ritmi sincopati alla Wire, distorsioni e sassofoni no-wave, un gran basso e una batteria primitivi e trascinanti che per impeto ricordano gli exploit delle prime Slits, l’urgenza di un cantato che unisce l’intensità e il piglio di Patti Smith e momenti à la Siouxsie & The Banshees. Queste ragazze però credono in quello che dicono, ci credono e molto. Un particolare non da poco, che le differenzia da tante altre colleghe. Senza indugi, senza fronzoli, badano alla sostanza, pretendono di essere ascoltate. E quando parlano d’amore lo fanno con insofferenza. Niente cuoricini e bigliettini di San Valentino, dunque. Il mondo che descrivono in “Silence Yourself”, un mondo in cui bisogna solo sorridere nonostante tutto, pedalare in silenzio e lottare per strappare agli altri un posto al sole, non le soddisfa neanche un po’. Tanto che sembra ne vogliano fare il funerale. “Silence Yourself” è il loro modo di ribellarsi, di mostrare il dito medio e dire che no, non hanno intenzione di stare zitte e incassare. Non sono ciniche, non rincorrono le mode Jehnny, Ayse, Fay ed Emma. La loro indignazione, il loro fervore, lo stupore per quanto poco si sia evoluta la razza umana sono sentimenti autentici. Ed è soprattutto questo a restare impresso nella memoria, quando l’album finisce. Magari le Savages non riusciranno nell’ambizioso progetto che hanno detto di voler perseguire: cambiare il modo in cui molte persone vivono i rapporti personali e affettivi, il proprio lavoro, attraverso la musica. Chissà, forse sono perfino un po’ ingenue a pensare di poterlo fare. Ma hanno tutta l’intenzione di volerci provare, di impegnarsi fino in fondo per raggiungere l’obiettivo. E di questo gli và dato atto e merito. Non solo convinte, ma anche convincenti (http://www.indieforbunnies.com/2013/05/10/savages-silence-yourself/).
“RADI@zioni/N.R.G.” è un programma ideato da Camillo Fasulo e realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Gabriella Trastevere, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


sabato 14 dicembre 2013

THE NATIONAL - Luminosamente oscuri!


THE NATIONAL “Trouble Will Find Me” (4AD, 2013) – www.americanmary.com

Tracklist:
01. I Should Live in Salt (guarda&ascolta: http://youtu.be/JK-EF9fAHIY)
02. Demons (guarda&ascolta: http://youtu.be/N527oBKIPMc)
03. Don’t Swallow the Cap (guarda&ascolta: http://youtu.be/gb6xroOHNKs)
04. Fireproof
05. Sea of Love
06. Heavenfaced
07. This Is the Last Time
08. Graceless (guarda&ascolta: http://youtu.be/Jpz_gUyImhw)
09. Slipped
10. I Need My Girl
11. Humiliation
12. Pink Rabbits (guarda&ascolta: http://youtu.be/7UcUBmlcrZc)
13. Hard to Find


Il successo anche dal punto di vista dei numeri del precedente album (“High Violet”) non ha scalfito la classe e l’urgenza espressiva di Berninger e soci. Il cantante, abbandonate da un paio d’anni le bionde alla nicotina nel taschino della memoria, sfoggia un timbro mai così pulito e fragili linee vocali di bellezza mai così cristallina, anche se alcuni, probabilmente, preferiranno il Matt più sporco di qualche anno fa.
Allargando la visuale, pensando a tutto l’album e al lavoro di tutti i membri, rimane quell’impressione, come nel recente passato, di un tentativo di ammodernamento e crescita che fa pensare ad un movimento “laterale”, nel senso che non vi sono grandi rivoluzioni del sound della band, ma si rinviene un’attitudine che mira sempre di più alla cura del piccolo dettaglio e, al contempo, alla ripulitura delle strutture, a favore di azzeccate scelte di stampo ancora più minimalista, che però in realtà nascondono, probabilmente, un enorme lavoro di rifinitura. Ordunque, The National, pur riconoscibilissimi, danno l’idea di aver creato qualcosa di nuovamente necessario, un ulteriore capitolo senza il quale forse non li avremmo mai davvero compresi fino in fondo. Sono canzoni che hanno tutta l’aria di essere rimaste intrappolate nel tempo. Come se fossero sempre esistite. Più che mai liberatorie, grazie soprattutto a certi finali di splendore epico che fanno accrescere quella sensazione sempre più pulsante di trovarsi di fronte a un insospettato vero e proprio passo in avanti, cosa che non è del tutto chiara durante i primi ascolti. Ma un album dei The National è pur sempre una scoperta. È come una amica che conosci da sempre ma che, piano piano, apprezzi sempre di più, fino ad innamorartene perdutamente e, … come dire?… è un po’ come dimenticare te stesso per trovare un amore che pareva ormai perduto… e, paradossalmente, ritrovare te stesso!
Tutto il disco, comunque, si attesta su livelli altissimi, dall’iniziale, accorata “I Should Live In Salt”, alla martellante-con-dolcezza “Don’t Swallow The Cap”, fino alle ballads una più maledettamente triste, tenera e bella dell’altra (“Slipped”, “Pink Rabbits” e “Hard To Find”), ed è tutto dire! Cresce inesorabilmente ascolto dopo ascolto questo “Trouble Will Find Me”, fino a contribuire a comporre un’opera che – non ce lo saremmo mai aspettato dopo tre bellissimi album consecutivi – appare di nuovo incantevole. L’ennesima prova di generosità di una band figlia di un tempo arido e avido. (www.indieforbunnies.com/2013/05/20/the-national-trouble-will-find-me/)
Volendo ripensare un attimo al percorso fin qui seguito dai The National: “Boxer” rimarrà il disco che ha delineato il loro suono e ha fatto far loro il salto di qualità, anche in termini di copie vendute. Ma, per qualità, “Trouble Will Find Me” si pone solo poco al di sotto di quel capolavoro. Più ricercato e maturo di “Alligator”, più compiuto di “High Violet”, il disco riconferma a livelli altissimi una band che non avrebbe comunque nulla da dimostrare. E lo fa utilizzando le armi di sempre, ma con una sensibilità nuova, meno combattiva e più magnetica, più intima, continuando sulla strada tracciata dall'album precedente (che è “High Violet”), ma guadagnando in intensità. In definitiva The National si prendono pochissimi rischi, auto-celebrano la propria maturità artistica e citano spesso se stessi, ma con una classe che è data, oggi, a pochissimi. Nulla in più di quello che vorresti ascoltare. Uno dei dischi dell'anno! (www.indie-rock.it/recensioni_look.php?=1608)

“RADI@zioni/N.R.G.” è un programma ideato da Camillo Fasulo e realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Gabriella Trastevere, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


sabato 7 dicembre 2013

SEBADOH: Indie rock come ormai se ne sente davvero poco in giro!

SEBADOH "Defend Yourself" (Joyful Noise, 2013) www.sebadoh.com

Tracklist:
01. I will (guarda&ascolta: http://youtu.be/UBWWL0nh9kI)
02. Love you here
03. Beat
04. Defend yr self
05. Oxygen
06. Once
07. Inquiries
08. State of mine
09.
Final days (guarda&ascolta: http://youtu.be/I_2IRcTTPNI)
10. Can’t depend
11.
Let it out (guarda&ascolta: http://youtu.be/ULvxmRc3PiM)
12. Listen (guarda&ascolta: http://youtu.be/kc3nDOeOrgc)
13. Separate


I Sebadoh sono uno dei tanti progetti di Lou Barlow, probabilmente il più celebre dopo i Dinosaur Jr. (con J. Mascis). Una creatura seminale, ispirata e prolifica come poche (sono ben 9 gli album licenziati tra il 1989 e il ’99) che però lo stesso Barlow ha lasciato riposare per la bellezza di quasi 15 anni: l’ultimo lavoro in studio, l’omonimo “The Sebadoh”, risale infatti al lontano 1999. Un periodo di pausa interrotto prima nel 2007 con la ripresa ufficiale dell’attività live, poi nel 2012 con un EP (“Secret Ep”) ed infine oggi con l’uscita di questo nuovo “Defend Yourself”. 13 nuovi brani che segnano il ritorno effettivo di una delle band più significative della scena indie-rock / lo-fi al pari dei Pavement di Stephen Malkmus, dei Superchunk e dei Guided by Voices. Un disco nato proprio grazie ai live che hanno permesso ai membri della band di far coincidere nuovamente le proprie agende, trovando così il tempo di tornare in studio per confezionare un lavoro che pare non risentire affatto del (tanto) tempo ormai passato. La lingua parlata è sempre quella dell’indie rock, della melodia e delle distorsioni di categoria “do it yourself”: in altre parole una garanzia! (www.rockol.it/vetrina-8393/sebadoh-defend-yourself)
Immaginate di scartare un regalo che aspettavate da tempo. Immaginate che tutti i suoni ormai lasciati nel dimenticatoio dei prolifici primi anni ’90 del migliore ed originale indie vengano ri-assemblati in un unico oggetto e donati al suo affezionato - e forse anche un po’ ormai arreso - pubblico, per far magicamente rivivere il suono grezzo del più autentico lo-fi. “Defend Yourselfemoziona nuovamente come un tempo. “Difendi te stesso”: i Sebadoh, forse semi-inconsciamente (come da loro dichiarato in recenti interviste) hanno realizzato che la loro vera reunion è avvenuta dopo aver riascoltato il tutto a disco terminato; si sono resi conto che quei suoni erano inaspettatamente vicinissimi a quelli di inizi carriera, avevano difeso da ogni deviazione se stessi e l’estetica che li aveva fatti nascere, quasi tanti anni non fossero mai passati ed il tempo si fosse congelato. Ma questo album non è per niente scontato, non annoia e, anzi, sorprende. Un regalo scartato che si è rivelato piacevolissimo (http://www.distorsioni.net/canali/dischi/defend-yourself).
Bene, alla voce “reunion riuscite con il buco”, reunion di vecchie glorie dei ’90, possiamo ufficialmente aggiungere anche quella dei Sebadoh, che i più penserebbero al traino di quella dei Dinosaur Jr. e invece no, perché Lou Barlow e Jason Loewenstein non hanno mai smesso, neppure a distanza, di lavorare insieme. Ma non è stata la rimpatriata celebrativa del 2007 con la testa matta Eric Gaffney (per la riproposizione dal vivo diBubble And Scrape”) ad accendere la miccia per questo “Defend Yourself”, quanto la stretta frequentazione di Jason con il batterista Bob D’Amico nel corso di quell’altra incredibile avventura chiamata Fiery Furnaces. Oh mamma, direte voi, una rifondazione art-pop-prog-psych sotto l’influsso dei terribili fratelli Friedberger? Macché: per quanto suoni banale dirlo queste canzoni sono Sebadoh 100%. Il sound è sporco il giusto. Lo stile è riconoscibile all’istante eppure l’effetto nostalgia stavolta, pur essendoci inevitabilmente, viene sovrastato da qualcos’altro. Qualcosa che ci piacerebbe chiamare maturità, ascoltando l’inizialeI Willo “Let It Out”, la quasi morbida “Listene soprattutto la cavalcata “Final Days”; ma spendere quella parola - maturità - sarebbe un’altra ovvia banalità, meglio dire che questo è esattamente il disco che ci si aspettava dai Sebadoh nel 2013. Ovvero un disco di indie rock come ormai se ne sentono davvero pochi in giro! (http://sentireascoltare.com/recensioni/sebadoh-defend-yourself/).
“RADI@zioni/N.R.G.” è un programma ideato da Camillo Fasulo e realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Gabriella Trastevere, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.




domenica 1 dicembre 2013

FATES WARNING - L’oscurità vista in una nuova luce!


FATES WARNING “Darkness In A Different Light” (Inside Out, 2013) – www.fateswarning.com

Tracklist:
01. One Thousand Fires (guarda&ascolta: http://youtu.be/uapH3PTmSZk)
02. Firefly (guarda&ascolta: http://youtu.be/ReoQw9ua9_Y)
03. Desire
04. Falling
05. I Am (guarda&ascolta: http://youtu.be/bvzjBnsDy2Q)
06. Lighthouse
07. Into the Black
08. Kneel and Obey
09. O’Chloroform
10. And Yet it Moves (guarda&ascolta: http://youtu.be/1WiIUQ4X-i4)





… dove eravamo rimasti? Era il 2004, ben 9 anni fa, quando i Fates Warning pubblicarono la loro decima e, fino ad allora, ultima fatica: quel “FWX” dignitoso ma non indimenticabile, soprattutto se paragonato ai suoi ingombranti predecessori. La band del Connecticut, autentica antesignana del movimento progressive-metal (ancor prima di altri più affermati mostri sacri quali Queensrÿche e Dream Theater), sembrava avesse perduto l’ispirazione tanto da far dubitare sul reale prosieguo dell’attività. Ma molto è accaduto da allora! (www.ondarock.it/recensioni/2013_fateswarning_darknessinadifferentlight.htm). 
In questo lungo periodo i membri della formazione americana non sono affatto rimasti inattivi. Si sono dedicati a vari progetti (O.S.I., Armored Saint e Redemption tra gli altri) e in tempi più recenti hanno iniziato a far circolare sempre più insistenti le voci relative ad un possibile nuovo lavoro in studio, fino all’annuncio che un album intitolato “Darkness In A Different Light” avrebbe visto la luce negli ultimi mesi del 2013. E così è stato! In realtà un assaggio delle capacità della nuova formazione dei Fates Warning, con Bobby Jarzombek dietro le pelli al posto di Mark Zonder ed il ritorno dello storico chitarrista Frank Aresti, lo si era già avuto con “Sympathetic Resonance”, pubblicato soltanto un paio di anni fa sotto il nome Arch/Matheos, ma che in realtà vedeva una formazione identica a quella dei Fates Warning ad eccezione di John Arch dietro al microfono, al posto di Ray Alder.
La caratteristica più evidente di “Darkness In A Different Light” è un sound pesante e serrato, che si discosta dallo stile tipico dei Fates Warning anche più di quanto non lo avessero già fatto le ultime uscite in studio. Già nell’opener “One Thousand Fires” la band dimostra di essere in una fase di notevole ispirazione chiarendo, fin da subito, che gli intenti sono seri e sinceri. Se nel singolo “Firefly” flirtano con melodie ammiccanti in cui riecheggiano fugacemente i fasti del loro glorioso passato, “I Am” unisce linee vocali a passaggi che sembrano essere presi in prestito dai Tool, mentre “Desire” presenta uno dei ritornelli più coinvolgenti e convincenti mai scritti dal gruppo. Un approccio più “glaciale” emerge invece, con prepotenza, soprattutto nella tetra “Lighthouse” e nei riff di “Kneel And Obey”, scandita da un ipnotico drumming. Ed è proprio la prestazione di Jarzombek uno dei punti di forza di “Darkness In A Different Light”: il batterista detta i tempi con una pulizia ed una sicurezza impressionante senza mai invadere la scena, come anche gli altri membri del resto. Alder non sovrasta mai lo sfondo musicale, mentre le due asce, Matheos e Aresti, danno sfogo al loro gusto e alla loro creatività principalmente nel riffing, concedendosi solo sporadicamente a qualche breve assolo. Questa peculiarità emerge prepotentemente nel gigante posto in chiusura, “And Yet It Moves” che racchiude in 14 minuti tutto quello che i Fates Warning hanno rappresentato (e ancora rappresentano) per il progressive. Insomma, si tratta di un capolavoro da scoprire che difficilmente lascerà indifferente chi li ha amati. Del resto chi li conosce è cosciente del fatto che il gruppo americano è una garanzia in termini di qualità: “Darkness In A Different Light” ne è un’ulteriore prova, rivelandosi essere un album solido e convincente fin dal primo ascolto. Un acquisto consigliato per tutti gli amanti del genere. Ci auguriamo che non occorrano altri 9 anni per ascoltare del nuovo materiale siglato Fates Warning! (www.truemetal.it/cont/articolo/darkness-in-a-different-light/65338/1.html).
“RADI@zioni/N.R.G.” è un programma ideato da Camillo Fasulo e realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Gabriella Trastevere, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.

venerdì 22 novembre 2013

BRITISH SEA POWER - 10 piccole storie da un universo parallelo.

BRITISH SEA POWER “Machineries Of Joy” (Rough Trade, 2013) – www.britishseapower.co.uk

Tracklist:
01.
Machineries Of Joy (guarda&ascolta: http://youtu.be/T7y6yEzUcN8)
02. K Hole (guarda&ascolta: http://youtu.be/vYSx2jo0bHc)
03. Hail Holy Queen
04. Loving Animals (guarda&ascolta: http://youtu.be/ZKdV7dpgcLw)
05. What You Need The Most
06. Monsters Of Sunderland
07. Spring Has Sprung
08. Radio Goddard
09. A Light Above Ascending
10. When A Warm Wind Blows Through The Grass (guarda&ascolta: http://youtu.be/Rrh0MYirhfk)

“In questo momento, il mondo sembra spesso un posto isterico. Vorremmo che questo disco fosse un antidoto, un bel gioco di carte in piacevole compagnia”. Così i British Sea Power hanno presentato la loro quinta fatica discografica ufficiale, “Machineries Of Joy”, un titolo che omaggia il recentemente scomparso Ray Bradbury, autore di “Cronache marziane”, “Fahrenheit 451” e della raccolta di piccole storie “Le macchine della felicità”. Ma non c’è nulla di fantascientifico nei suoni e nelle atmosfere che pervadono questo lavoro, concepito tra le nebbiose Berwin Mountains del Galles, e da quel clima fortemente influenzato.
Sembrano proprio piccoli ma vividi racconti questi che arrivano a due anni di distanza da “Valhalla Dancehall” e a dieci dal debutto “The Decline Of British Sea Power”. Se da una parte queste nuove 10 canzoni sono forti di un campionario d’influenze, sapori e umori in continua espansione, dall’altro rappresentano la summa ideale di quanto riesca meglio a un gruppo che arriva in gran forma al traguardo del doppio lustro d’attività. Una collezione così eclettica che suona come un greatest hits, anche se non lo è: il suono è spesso cinematico, evocativo ma non evanescente, con una sapiente alternanza tra la pomposità dei tappeti d’archi e i più diretti riff chitarristici – tutto in perfetto equilibrio tra tensione e distensione.
Tutto questo dimostra che la band di Brighton non ha mai smesso di lavorare sodo; non importa se i colleghi che oggi sono arrivati col fiatone negli anni Dieci hanno raggiunto prima di loro i tanto agognati traguardi. I British Sea Power sono ancora come li abbiamo conosciuti, solo che oggi li ritroviamo più consapevoli della qualità del proprio songwriting. Pur non avendo perso il gusto per l’eccentricità, sono riusciti a confezionare l’album che finalmente può far avvicinare al loro mondo anche il neofita più restio. Se non è un successo questo… (http://sentireascoltare.com/recensioni/british-sea-power-machineries-of-joy/).
Ascoltare l’album dei British Sea Power significa incamminarsi in un sentiero che cambia costantemente direzione, una musica che a tratti sembra subire una mutazione genetica senza però che nulla si alteri o si deformi. Il loro marchio resta chiaro, così come la compattezza stilistica nei rimandi al post-punk, al rock degli anni duemila, a sonorità beatlesiane. E questo, indipendentemente dai giudizi di merito, compare nei resoconti di alcune recensioni anche non del tutto positive lette un po’ in giro per il web. Ma il suggerimento finale, per quanto mi riguarda, resta sempre il solito: non curatevi troppo di chi recensisce (neanche di noi!) e ascoltatela tutta la musica! La decisione di ciò che è buono e di ciò che non lo è, resta sempre del tutto soggettiva! (www.mentinfuga.com/web/index.php/british-sea-power-machineries-of-joy-una-raccolta-di-musiche-tra-refrain-di-chitarre-e-aperture-di-archi/).
Dieci anni di carriera non hanno quindi affatto disseccato la vena compositiva dei nostri, che probabilmente, con questo album, raggiungono i loro vertici, sia in termini qualitativi che di piacevolezza all’ascolto, segnale evidentemente di ispirazione, ma anche di raggiunta maturità. Detto che il gruppo ha dichiarato la propria volontà di rendere l’album “caldo e ristoratore, come una partita a carte tra amici”, fin dall’inizio si fa sul serio, con le atmosfere in stile kraut, sull’insistito del basso e sul tappeto di viola e tastiere della fantastica, cinematica “title track”, seguita dalla possente “K-Hole”, che ci introduce al lato più rockettaro dei nostri, mentre “Loving Animals”, un altro dei pezzi forti del disco, paga il dovuto agli immancabili Beatles. Il disco termina con la suggestiva “When A Warm Wind Blows Through The Grass”, probabilmente un altro dei momenti migliori del disco, con il suo arpeggio circolare e un’atmosfera quasi sinistra, degna conclusione per un disco notevole (www.distorsioni.net/canali/dischi/machineries-of-joy).

“RADI@zioni/N.R.G.” è un programma ideato da Camillo Fasulo e realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Gabriella Trastevere, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


KINGS OF LEON - un percorso musicale tra i più interessanti di questi ultimi anni.

RADI@zioni / Disco Hot N° 21: KINGS OF LEON “Mechanical Bull” (2013)

… Dunque tornano i fratelli Followill, tornano dopo quello che per alcuni era stato un pessimo album (mentre per altri il solito album dei Kings Of Leon). Tornano, e questa volta lo fanno alla grande. E se il precedente “Come Around Sundown” aveva deluso una fetta importante dei fans, che aspettavano un nuovo “Only By The Night”, “Mechanical Bull” non delude! Non mira ad essere un nuovo capolavoro né a sconvolgere, ma piace e convince!
Gli attuali Kings Of Leon non hanno grilli per la testa, e quel successo che li aveva inondati tra il 2009 e il 2010, attualmente sembra solo una parentesi necessaria e non influente su di un percorso musicale che si sta comunque rivelando tra i più interessanti di questi ultimi anni.
(a cura di Carmine Tateo)

Tracce consigliate:
SUPERSOAKER (guarda&ascolta: http://youtu.be/izzY55ACUQo)
DON’T MATTER (guarda&ascolta: http://youtu.be/rowFbNYZwXs)
COMING BACK AGAIN (guarda&ascolta: http://youtu.be/zzUHAOtOs9w)


sabato 16 novembre 2013

"Fanfare" di Jonathan Wilson … uno dei dischi più memorabili di questo 2013!


JONATHAN WILSON “Fanfare” (Bella Union, 2013) – www.songsofjonathanwilson.com

Tracklist:
01. Fanfare (guarda & ascolta l’album teaser: http://youtu.be/474-tI3oKVM)
02. Dear Friend (guarda & ascolta: http://youtu.be/tawWSAgLd_M)
03. Her Hair Is Growing Long
04. Love To Love
05. Future Vision
06. Moses Pain (guarda & ascolta: http://youtu.be/H2vboCenoW4)
07. Cecil Taylor (
guarda & ascolta: http://youtu.be/-S7OkHSJJGY)
08. Illumination
09. Desert Trip
10. Fazon (guarda & ascolta: http://youtu.be/wx6QMGROgBs)
11. New Mexico
12. Lovestrong (guarda & ascolta: http://youtu.be/T8ujfMUfUII)
13. All The Way Down (
guarda & ascolta: http://youtu.be/PxhIlga9cEY)


In molti, nel 2011, rimanemmo rapiti, intrappolati in quella rete da pesca dell’impressionante debutto “Gentle Spirit”, all’insegna di uno psychedelic folk dai tratti intimisti. Non era semplice immaginarsi quale sarebbe stato il passo successivo, ma era già chiaro che da un autore come Jonathan Wilson non sarebbero arrivate fotocopie sbiadite e ingabbiate in formule precostituite. Il cuore del nuovo “Fanfare” batte a Laurel Canyon, e la forza e l’eleganza sprigionate dalla proposta del trentottenne songwriter del North Carolina è pienamente riconducibile a un’epopea che parte da Crosby, Stills and Nash (il primo e il terzo sono anche graditissimi ospiti nella delicata “Cecil Taylor”, omaggio al pioniere del free jazz, e Nash compare anche in “Moses Pain”), passa per Joni Mitchell ed emana addirittura profumi “pinkfloydiani”.
“Fanfare” è un titolo eloquente, ambizioso tanto quanto l’opera stessa: Jonathan osa, contamina, sperimenta, guarda a un passato glorioso e non solo non cerca in alcun modo di nasconderlo, ma espone fiero le sue radici e le sue passioni, senza fingere nulla, in un album suonato per davvero, con canzoni lunghe che percorrono spesso traiettorie imprevedibili. La dimora in cui siamo ospitati profuma di legno nuovo, di foglie essiccate, ed è confortevole e calda come l’autunno anomalo durante il quale è arrivato sugli scaffali questo lavoro eclettico e corale, ultimato dopo nove mesi grazie al fondamentale apporto di un gruppo di amici musicisti di primo livello, come Josh Tillman (noto anche come Father John Misty) che presta la sua voce nelle armonie di “Future Vision”, e Jackson Browne che non solo ascoltiamo in “Moses Pain” e in “Desert Trip”, ma che è anche il proprietario del Groove Master Studio a Santa Monica in cui l’intero disco (un doppio LP, per i cultori del vinile) è stato mixato.
Registrato totalmente su nastro analogico con apparecchiature vintage, “Fanfare” è la piena dimostrazione che è possibile agganciarsi alla storia del rock senza per forza limitarsi a manie passatiste: non c’è una caduta di tono, le canzoni di Wilson sono ricche ma mai pacchiane, scomodano padri nobili riplasmando il tutto, intelligentemente, con un occhio al presente. La girandola di citazioni va da una sponda all’altra dell’Atlantico e comprende la palese adorazione per David Crosby, Beach Boys, John Lennon, Bob Dylan, Jerry Garcia e persino Steve Winwood. C’è di tutto, in “Fanfare”, ma ciò non implica che non emerga, alla fine dei quasi ottanta minuti di ascolto, un’identità riconoscibile.
Il secondo album di Jonathan Wilson, pur non privo di occasionali pecche (il consiglio è di assaporarlo un sorso per volta, con delle opportune pause, come i doppi album di un tempo), riesce a non essere una celebrazione accademica e dimostra che c’è ancora posto, nel sempre più competitivo e frenetico music business, per musica autentica, vibrante, scritta e suonata con rispetto e sentimento, dall’eccellente qualità del suono, in grado di conquistare un pubblico trasversale. Non suoni insolente la copertina con il particolare della Creazione di Adamo di Michelangelo: “Fanfare” è un’opera d’arte con tutti i crismi, un tributo vivo, un lavoro di paziente e meticolosa archeologia moderna. In sintesi, uno dei dischi più memorabili di questo 2013! (www.sentireascoltare.com/recensioni/jonathan-wilson-fanfare)
“RADI@zioni/N.R.G.” è un programma ideato da Camillo Fasulo e realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Gabriella Trastevere, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


domenica 10 novembre 2013

BABYSHAMBLES - Un ritorno timido ma ordinato e soprattutto onesto.

RADI@zioni / Disco Hot N° 20: BABYSHAMBLES “Sequel To The Prequel” (2013)

La band in questione è arrivata al 3° disco e riprende esattamente il discorso interrotto 6 anni fa; quando diedero alle stampe il precedente album, “Shotter’s Nation” eravamo nel 2007.
Il nuovo “Sequel To The Prequel” espone 12 brani che nella versione de luxe diventano 16, tutti scritti  tra Londra e Parigi.
Indie-rock con le consuete declinazioni di marca Babyshambles!
I ragazzi godono di ottima salute.
In “Sequel to the prequel” si respirano talvolta atmosfere da caffè letterario parigino, ma la penna di Peter Doherty sembra abbia preso una svolta più ottimista, più solare. Si alternano ritmi movimentati a momenti più tranquilli, più spensierati. Probabilmente i fans si aspettavano qualcosa in più… ma va bene così!
(a cura di Carmine Tateo)

Tracce consigliate:
FIREMAN (guarda&ascolta: http://youtu.be/acpuOyZm7L0)


sabato 2 novembre 2013

... si scrive VISTA CHINO, ma si legge... KYUSS!!!


RADI@zioni / Disco Hot N° 19:
VISTA CHINO “Peace” (2013) 

Vista Chino è un nome che ai più potrebbe non dire un granché, ma dietro il quale si celano almeno 3/4 di storia del rock, del cosiddetto “stoner” per essere più precisi, ovvero John Garcia alla voce, Nick Oliveri al basso e Brant Bjork alla batteria… tutti e tre ex Kyuss.

Il tutto è nato dopo varie live-sessions tenute appunto dai tre personaggi che, con l’apporto di tal Bruno Fevery, chitarrista belga, al posto di Josh Homme (impegnato con i Queens of the Stone Age), avrebbero voluto dar vita ad un nuovo sodalizio sotto il nome di Kyuss Lives. Come da copione, per questione di diritti d’autore, Garcia e nuovi soci sono stati costretti a mutare denominazione. Sarebbe stato scelto così il curioso nome di Vista Chino. 
Si scrive Vista Chino (dal nome di una famosa strada nel deserto natio, Palm Desert, California, USA) ma si legge Kyuss e, finalmente, dopo una lunga ed estenuante battaglia legale che ha visto i nostri frapporsi a Josh Homme, intenzionato a non fare usare ai ragazzi il vecchio nome, la band ha deciso di tirare una linea e di ricominciare, soprattutto dalle piccole cose, come le proprie radici: “stoner rock”, il suono rock del deserto! “Peace” suona proprio così: “vecchio”, molto anni ’90… ma è proprio questo il suo pregio più grande. Purtroppo, per tanti motivi sui quali adesso è meglio sorvolare, abbiamo un disco che non raggiunge le vette dei migliori Kyuss ed abbiamo una band che pretende di essere i Kyuss… ma “Peace” va preso così com’è: un buon lavoro presentato da una band che avrebbe bisogno di ulteriori conferme prima di poter sconfiggere i fantasmi di un seppur glorioso e “polveroso” passato!

(a cura di Carmine Tateo)

Tracce consigliate:
DARGONA DRAGONA (guarda & ascolta: http://youtu.be/x7kUwTk2vfk)
BARCELONIAN (guarda & ascolta: http://youtu.be/zoJSxh448d0)
ADARA (guarda & ascolta: http://youtu.be/R4spRxbGx1s)


ALICE IN CHAINS: alla ricerca dei dèmoni perduti del rock!



ALICE IN CHAINS “The Devil Put Dinosaurs Here” (Capitol, 2013) – www.aliceinchains.com

Tracklist:
1. Hollow (guarda & ascolta: http://youtu.be/hmSeWqmlqYs)
2. Pretty Done
3. Stone (guarda & ascolta: http://youtu.be/9KmYFY5oOvM)
4. Voices (guarda & ascolta: http://youtu.be/7YDPNl7PeUU)
5. The Devil Put Dinosaurs Here
6. Lab Monkey
7. Low Ceiling
8. Breath On a Window (guarda & ascolta: http://youtu.be/snwZ4n9lNKA)
9. Scalpel
10. Phantom Limb (guarda & ascolta: http://youtu.be/qQc8WsY-ZbA)
11. Hung On a Hook
12. Choke

(clicca qui per ascoltare l’intero album: http://youtu.be/Mu81Kdhlgj8)


Gli Alice In Chains sono tornati! E sono tornati a modo loro, senza eredità di cui disfarsi e senza nessun rimpianto del passato ma, anzi, con la stessa immutata forza espressiva e con la stessa musica, eccellente marchio di fabbrica. Basta ascoltare il primo pezzo, “Hollow“, per capire che non è cambiato, direi, quasi nulla da quei “maledetti” anni ’90 in cui esplosero (www.melodicamente.com/alice-in-chains-the-devil-put-dinosaurs-here-recensione/).

“The Devil Put Dinosaurs Here” è il 5° album in studio per AIC. È stato pubblicato sul finire del mese di maggio di quest’anno ed è il 2° dopo la reunion del 2005 e l'ingresso in formazione di William DuVall in sostituzione del defunto Layne Staley. L’anima degli AIC resta, comunque, Jerry Cantrell. Lo era ai tempi di Staley e lo è oggi, ancora di più. Erano già tornati nel 2009, dopo pesantissime battute d’arresto, con “Black Gives Way To Blue”, un album bello e difficile. Il 1° con DuVall alla voce. Difficile per via dell’inevitabile confronto con l’ingombrante passato. con il mito. L’anima degli AIC però, ripeto, è Jerry Cantrell, ed è tempo che un po’ tutti se ne facciano una ragione; specialmente dopo aver ascoltato “The Devil Put Dinosaurs Here”. Non si pecca di lesa maestà nel dire apertamente che questo è uno dei migliori album in assoluto degli AIC. Non si pecca e, soprattutto, non ci si deve sentire minimamente in colpa, perché ammetterlo non significa in alcun modo sminuire o tantomeno (ci mancherebbe altro) dimenticare Staley. Sia chiaro una volta per tutte! Questo è un disco nato senza la benché minima pretesa (o debito da saldare): “Non credo vi sorprenderà quello che sentirete. Siamo noi. È, comunque, un disco unico, il nuovo capitolo della storia degli AIC”. Lo afferma Cantrell! Facciamo allora che da qui in poi si volta definitivamente pagina. 12 pezzi, quasi 70 minuti di sound asciutto, riff sporchi e pesanti come macigni; melodie acide (il marchio di fabbrica degli AIC) che si stagliano sullo sfondo e si impastano negli intrecci vocali perfettamente amalgamati (e di grande impatto) di Cantrell e DuVall, uno che, d’accordo, non avrà l’intensità del suo predecessore, ma ha ampiamente dimostrato di meritarsi il posto dando quel tocco di in più, il suo tocco, ad ogni pezzo. Pezzi in questo caso più metal che rock, senza dubbio, messi ad asciugare all’aria di Seattle. Non c’è davvero molto altro da dire su questo disco se non che la sua grande bellezza risiede interamente nella sua forza. Una forza esibita senza compromessi, quasi uno sfogo. Il trionfo del songwriting di Cantrell! Non ci sorprende affatto quello che sentiamo, questi sono gli AIC! “The Devil Put Dinosaurs Here” è un signor disco. Un album da prendere con foga e consumare senza ritegno. Ad oggi, uno dei migliori in assoluto usciti quest’anno. A Layne probabilmente sarebbe piaciuto (www.rockol.it/recensione-5314/alice-in-chains-the-devil-put-dinosaurs-here).
Gli AIC mettono le cose in chiaro fin dall’inizio di questo disco: non stiamo qui a fare del rock-simpatico-che-piaccia-alla-gente, noi parliamo d’altro. “The Devil Put Dinosaurs Here” non è, infatti, un disco facile. Bisogna scegliere un particolare momento per ascoltarlo. Concentrarsi, indossare le cuffie e spegnere tutte le luci, volendo anche il sole, per sentirlo veramente. Non sono canzoni brevi e veloci, non sono pezzi allegri, non c’è molto respiro: è un disco oscuro, da pozzo profondo pieno di dèmoni. Se siete disposti a dedicargli un po’ del vostro tempo, ve lo consigliamo; se cercate riff divertenti e canzoni rock che coniughino orecchiabilità e musicalità, forse è il caso di rivolgersi da un’altra parte (www.soundsblog.it/post/146721/alice-in-chains-the-devil-put-the-dinosaurs-here-la-recensione-di-soundsblog).
“RADI@zioni/N.R.G.” è un programma ideato da Camillo Fasulo e realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Gabriella Trastevere, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.



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