sabato 24 settembre 2011

KAISER CHIEFS: electro-indie-rock di pregevole fattura!

KAISER CHIEFS “The Future Is Medieval” (Universal Records, 2011) – www.kaiserchiefs.com

Tracklist:
1. Little Shocks (video http://youtu.be/oX3yfldi7Zg)
2. Things Change
3. Long Way From Celebrating
4. Starts With Nothing
5. Out Of Focus (video http://youtu.be/SIzNijJXbmY)
6. Dead Or In Serious Trouble
7. When All Is Quiet
8. Kinda Girl You Are
9. Man On Mars
10. Child Of The Jago (video http://youtu.be/xRTDajoiVx0)
11. Heard It Break
12. Coming Up For Air
13. If You Will Have Me (video http://youtu.be/pmJO13y2s-g)


I Radiohead hanno fatto scuola! Da qualche tempo è gara aperta tra chi si ingegna con la forma più originale e inconsueta di vendita online della propria musica. Rischiano seriamente di portare a casa l’alloro gli ormai veterani Kaiser Chiefs, sopravvissuti, non senza acciacchi, alle alterne vicende della moda musicale britannica, e che, per il loro quarto album, “The Future Is Medieval”, ne hanno pensata una davvero bella: mettere a disposizione dei fans un pacchetto di canzoni con le quali compilare una propria versione personalizzata del disco (comprensiva di copertina a scelta). Si possono selezionare dal sito ufficiale della band al massimo 10 pezzi tra i 20 disponibili, realizzando così un possibile assemblaggio, tipo puzzle, di “The Future Is Medieval”, che altri utenti potranno a loro volta acquistare, facendo guadagnare al compilatore una sterlina per ogni “copia” smerciata. Laborioso e molto inglese, senza dubbio, eppure efficacissimo per sollevare qualche chiacchiera strategica sul nome della band. Il che, concorderete, non guasta mai di questi tempi. Certo, se poi le canzoni non fossero dotate di una buona qualità, tutta l’idea andrebbe a farsi benedire. Per fortuna dei Kaiser Chiefs (e del loro pubblico) invece, Ricky Wilson e soci mostrano una buona forma complessiva e consolidano il proprio ruolo di band che senz’altro non cambierà la storia della musica, ma che si sa esprimere in maniera fresca e coinvolgente. (http://www.ondarock.it/recensioni/2011_kaiserchiefs.htm)
I Kaiser Chiefs balzarono agli onori della cronaca nel 2005 pubblicando l’interessantissimo “Employment”, piccola gemma “indie” contenente singoli di successo ad alto tasso danzereccio quali “Oh My God”,”I Predict a Riot” e “Everyday I Love You Less and Less”, risultando un disco, sì acerbo ed imperfetto, ma colmo di energia e spontaneità. Due anni più tardi ecco “Yours Truly, Angry Mob”, album che segna l’evoluzione della band verso un sound più maturo e ricercato, meno dedito all’elettronica facilona e più concentrato sul vecchio 60’s rock già rievocato dai colleghi Franz Ferdinand. Il disco fu snobbato dai più, ma tracce come “Ruby”, “The Angry Mob”e “Learnt My Lesson Well” restano ancora oggi piccoli gioielli. Il successivo “Off With Their Heads” segna il primo passaggio a vuoto nella giovane carriera dei Chiefs. Nel 2011 tentano il rilancio inventandosi quell’intrigante stratagemma di cui vi dicevo prima: pubblicare online le 20 canzoni composte per il nuovo album permettendo ai fans di acquistarne soltanto 10 scegliendo tra le favorite, nell’ordine preferito e realizzandone perfino l’artwork…
Il gruppo di Leeds (il cui nome deriva dalla prima squadra di calcio dell’ex capitano del Leeds United, il sudafricano Radebe) è oggi uno dei totem dell’indie rock inglese. “The Future is Medieval” (titolo non dei più ottimisti, per la verità) è una vera e propria esposizione di electro-indie-rock di pregevole fattura. La formula è rimasta invariata e il sound è quello caratteristico del quintetto britannico, pur con un deciso e talvolta eccessivo ricorso all’elettronica, tanto che le tipiche sonorità pop-rock hanno sempre meno echi dagli anni ’60/’70 e sempre più richiami agli ’80 più commerciali. Produzione pulita e cristallina, refrain accattivanti (ma talvolta decisamente ruffiani) e capacità di essere diretti e decisi. I Kaiser Chiefs non perdono la voglia di far saltellare il proprio pubblico e, in questo senso, raggiungono ancora lo scopo. Il problema finale di “The Future is Medieval” è che anche nella versione ufficiale con sole 13 tracce, messa regolarmente in commercio tramite i tradizionali canali di distribuzione, la qualità media resta buona, ma non si registrano picchi o acuti particolari restando a metà strada tra Maximo Park e Franz Ferdinand e con decisi cenni ai maestri dell’elettronica Depeche Mode. (http://www.storiadellamusica.it/Kaiser_Chiefs_-_The_Future_Is_Medieval_(Universal_Musics-Fiction-Polydor-,_2011).p0-r4204)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.


JOE LALLY: stile e grinta da vendere col suo 3° disco solista post Fugazi.

JOE LALLY “Why should I get used to it” (2011)

Ormai romano d’adozione (è infatti sposato con un’italiana e vive nella capitale) l’ex Fugazi ogni tanto si chiude in sala di registrazione con un paio di amici e sforna un album (ormai per lui una consuetudine) minimale ma elegante e intimo che fa della sua semplicità l’arma vincente anche se Joe sente la mancanza dei suoi Fugazi e la 1^ traccia ci pare eloquente in questo senso!
“Why should I get used to it” è il 3° album da solo per Joe Lally, ma è di gran lunga superiore ai suoi precedenti essendo più vario e creativo. Basso e batteria la fanno da padroni seguendo negli assoli evidenti linee jazz. Alla fine il lavoro sembra suonato da una band vecchio stampo, e invece è un disco nato in pochissimi giorni e quasi suonato in presa diretta… Insomma, dovremo proprio abituarci ad un mondo senza Fugazi…

(Carmine Tateo – carmine.taty@live.it

domenica 18 settembre 2011

KITTY, DAISY & LEWIS: tre giovani splendidamente fuori moda e fedelmente innamorati di vecchie canzoni scricchiolanti

KITTY, DAISY & LEWIS “Smoking in heaven” (2011)

… E fu così che arrivò il disco della consacrazione per i fratelli Durham. Laciato da parte il filone Winehouse/Von Teese al quale si erano accodati, la “band”, tra virgolette, vuol dimostrare con questo 3° lavoro che è ormai diventata grande. Beh, l’operazione è perfettamente riuscita…
“Smoking in heaven”, tra rockabilly e rock steady, realizzato interamente nel garage dei Durham con un piccolo registratore multi-traccia ed una serie di apparecchiature analogiche assai vintage, riproduce quel tipico sound anni ’50 e ’60 che loro desideravano. Questo è un album che si può tranquillamente ascoltare ad una festa ma che è capace di riservare anche delle sorprese nell’ascolto solitario. Difficile non rimanere soggiogati dal sound di Kitty, Daisy & Lewis!
(Carmine Tateo –  carmine.taty@live.it )

Smoking in heaven (video http://youtu.be/aISmjGm-pxc)


(a cura di Camillo “RADI@zioni” Fasulo)


LENNY KRAVITZ: il nuovo album omaggia le radici della black music

LENNY KRAVITZ “Black And White America” (Roadrunner, 2011) - www.lennykravitz.com



Tracklist:

Black and white America (video http://youtu.be/NuMOVXfEbL4)
Come on get it
In the black
Liquid Jesus
Rock star city life
Boongie drop
Stand
Superlove
Everything (video http://youtu.be/LUPtATH8DrQ)
I can’t be without you
Looking back on love (video http://youtu.be/N0cjxvbmYGg)
Life ain’t ever better than it is now (video http://youtu.be/G84NDlLBf5w)
The faith of a child
Sunflower
Dream
Push



Improbabili ed inattese nuove da Lenny Kravitz: “Black And White America” è un buon disco, anzi, è il migliore da molti anni a questa parte! Folgorato da un documentario in cui bianchi conservatori dichiaravano di voler tornare ad un’America arcaica, inneggiando alla supremazia della propria razza, Lenny riscopre e rivendica le proprie radici sociali e musicali. Da questo punto di vista già l’artwork scelto lascia spazio a poche interpretazioni: ricordi com’eravamo e da dove veniamo? Ricordi quanto abbiamo lottato per l’uguaglianza? Come a dire: il percorso non finisce con l’elezione di Obama. Stupisce piacevolmente tutta questa enfasi da parte di un artista che negli ultimi dieci anni aveva preso l’andazzo di piazzare singoli ottimi solo per l’airplay commerciale, di posare per servizi di moda,apparire ovunque tanto da far pensare che potesse esistere un Lenny Kravitz indipendentemente dalla musica. “Black And White America” ha il pregio di riportare finalmente in primo piano il suono: il risultato è un disco lungo (ben 16 brani), a fuoco e a tratti adrenalinico, che omaggia le radici della black music e, nella sua varietà di stili, cerca di riscoprire il funk nella sua originaria accezione di musica di protesta. (www.nonsiamodiqui.it)
Il bell’ombroso artista newyorkese odia i ripescaggi di marchi o fuoriuscite striminzite di falsi e iconoclastici materiali da esibire tra un disco e l’altro, il fil rouge che lega ombelicalmente Kravitz, il mondo e un jack accalorato è il funk e le cose dette/cantate con l’onestà e l’attenzione che questa musica sobilla, inneggia, mandando in calore anime e corpi: questo disco di tale propulsione n’è stracolmo come un fiume che si getta angelicamente giù per una cascata complice; evoluta e particolarmente distanziata la forma elettrica beatamente aggressiva dei precedenti lavori discografici e un forte attracco alla musica della sua pelle, al soul, alla colonna sonora della sua razza ed il relativo meltin-pot culturale e sociale che Kravitz riscopre come originale di una partitura da mettere in mostra tra ragione e realtà. Lenny si riprende il suo sincopato e avvolgente mondo fatto di contrappunti e slapping di bassi che tolgono il respiro (“Life ain’t never been than it is now”), addenta l’R&B e lo porta a volare alto con la bella compagnia di Jay-Z e DJ Military (“Boongie drop”), più sopra si snoda in un disco-funk ammaliato da un barrito brass di tromba che pare strattonarti e gettarti in pista per ancheggiare gioiosamente (“Black and white America”), più al centro gli anni ottanta dello Studio 54 (“Superlove”) con l’ombra di Marvin Gaye che luccica in “Liquid Jesus”, quasi il seguito della mitica “Sexual healing”. I giochi sono fatti e un nuovo Kravitz è servito, un bel momento di moderne roots ballabili che portano fresco in questa arsura di fine estate, una colonna sonora perfetta per un settembre già inoltrato, scritta, suonata ed interpretata da un campione che da sempre mixa bianco e nero in un’America ancora riottosa al miscuglio grigio del derivativo che ne verrebbe fuori. (www.stordisco.blogspot.com)
(Rino De Cesare)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.


mercoledì 14 settembre 2011

VIOLA DI GRADO - Autentica rivelazione letteraria con il suo romanzo d'esordio "Settanta Acrilico Trenta Lana"


Viola Di Grado - "Settanta acrilico trenta lana" - 189 pagg. (Edizioni E/O, 2011).

Radi@zioni non è soltanto voglia di proporre e condividere tanta buona musica, non stiamo qua a ricordarlo. Intendevamo per questo sottoporre alla vostra attenzione un buon libro che ci è capitato sotto gli occhi proprio in questi giorni e lo vogliamo fare attraverso le parole “carpite” dalla rete, alla ricerca di un riscontro allineato alle nostre impressioni:

«“Settanta acrilico trenta lana” è il romanzo di un’esordiente 23enne catanese, Viola Di Grado, nella quale la casa editrice E/O dimostra di credere davvero molto. Laureata in lingue orientali a Torino, Viola Di Grado ha fatto l'Erasmus a Leeds, poi ha viaggiato in Giappone e in Cina, e ora si sta specializzando in filosofia cinese a Londra. Questo romanzo lo ha finito di scrivere due anni fa, quando di anni ne aveva ventuno. Eppure “Settanta acrilico trenta lana” dimostra un’originalità e una maturità di lingua e contenuti davvero rara per una scrittrice della sua età. Definita "dark come Amélie Nothomb e letteraria come Elena Ferrante", Viola Di Grado costruisce il suo romanzo sulla lingua, attraverso iperboli, sinestesie, allitterazioni, parole che dipingono una natura al neon, di plastica, - acrilica, appunto -, sezionando lo spazio ovattato di questa Leeds letteraria come con un bisturi. Una lingua che taglia e squarcia la pagina, come se fosse un fiore o un vestito. Parole che coniugano esperienza corporea ed estetica, che si collocano esattamente sulla pagina come ideogrammi inscritti nel loro quadrato ideale. Parole che contraddicono la sterilità dell'esperienza depressiva, debordano fuori dal tracciato, si scompongono, si mescolano, si uniscono: chiavi di volta, parole che si fanno carne e riempiono lo spazio, parole che significano sempre qualcosa di più della loro forma. Una lingua cesellata come una porcellana orientale, eppure sfrontata e insolente come quella che solo a vent'anni si può avere. “Settanta acrilico trenta lana” è romanzo di una bellezza straziata, di una vita persa, ritrovata, persa di nuovo - ciclica, come un buco -, di una vita che muore ogni giorno e ogni giorno risorge, per lanciare una provocazione alle nostre candide esistenze.» 
(Sandra Bardotti, da www.wuz.it/recensione-libro/5506/settanta-acrilico-trenta-lana-viola-grado.html). 

Aver avuto l’opportunità di assistere nei giorni scorsi, al “Festivaletteratura” di Mantova, alla presentazione del succitato romanzo e ad una sua breve riduzione teatrale dal titolo “Il suono di uno sguardo” che ha coinvolto l’autrice nel ruolo della protagonista del suo stesso romanzo, con il commento sonoro in diretta dal vivo organizzato da Ares Tavolazzi (apprezzato bassista e contrabbassista d’estrazione jazz, ex componente degli Area, la storica rock band italiana guidata negli anni ’70 dall’indimenticabile Demetrio Stratos) e con l’allestimento della P.O.P. Produzioni sulle rive del Lago di Mezzo di Mantova, è stata un’esperienza profonda ed emozionalmente toccante!

(a cura di Camillo "RADI@zioni" Fasulo)



sabato 10 settembre 2011

BLACK COUNTRY COMMUNION - I magnifici 4 raddoppiano con un potente nuovo album di "vecchio" hard rock

BLACK COUNTRY COMMUNION “2” (Mascot Records, 2011) - www.bccommunion.com

Tracklist:
01. The Outsider
02. Man In The Middle
03. The Battle For Hadrian's Wall
04. Save Me
05. Smokestack Woman
06. Faithless
07. An Ordinary Son
08. I Can See Your Spirit
09.
Little Secret
10. Crossfire
11. Cold


A poco più di un anno dalla prima uscita, i Black Country Communion raddoppiano con un nuovo lavoro, ancor più potente e roccioso del suo predecessore. Se due prove fanno una certezza, i BCC si fanno portabandiera del suono anglosassone inventato dai Deep Purple quando nell’arco di due stagioni (dal 1970 al 1972) fecero conoscere la potenza dell’hard rock in tutto il mondo. La direzione dei BCC, in quest’ottica, è chiarissima, rispolverare l’hard rock (abbellito da sferzate blues) con orgoglio, classe e sicuramente un po’ di sfacciataggine, visto il ritorno di tali sonorità tra gli appassionati. Anche se nel complesso il songwriting non eccelle, come spesso accade in questi frangenti, ci pensa la classe suprema dei magnifici quattro a risollevare le sorti, cosa davvero di non poco conto. (http://www.metallus.it/recensioni/black-country-communion-2/)

Parlare dei BCC equivale a parlare della storia del rock. Se la band in sé è relativamente giovane, visto che è stata fondata nel 2010, la sorpresa si nasconde, come dire, dietro le quinte. Sotto questo enigmatica ragione sociale troviamo, infatti, Glenn Hughes, che ha scritto importanti pagine musicali militando anche nei Deep Purple nella duplice veste di bassista e cantante (nella terza fase della carriera della band). Accanto a lui troviamo un figlio d’arte, Jason Bonham, figlio del mitico Bonzo, compianto batterista dei Led Zeppelin. Nomi decisamente altisonanti, cui si aggiungono Derek Sherinian alle tastiere, un globetrotter del rock che ha collaborato davvero con tutti (ma rimarrà per sempre l’ex tastierista dei Dream Theater), e Joe Bonamassa alle chitarre, vera e propria istituzione del blues rock. Beh, se siete ancora vivi dopo aver letto questi nomi, sappiate che i BCC avevano fatto gridare al miracolo, già poco più di un anno fa, con il loro omonimo album di debutto, un vero e proprio concentrato di rock anni ’70, blues e atmosfere ispirate e trascinanti. Salutati come la salvezza del vero rock, tornano ora con un secondo album, intitolato appunto “2”, che risulta addirittura migliore del precedente. Di solito c’è un certo scetticismo intorno alle super band formate da componenti di altri gruppi famosi, soprattutto quando il background è così variegato, come in questo caso. Anche il più critico degli ascoltatori si è però ricreduto dopo le prime note di “2”, che sprizza ispirazione da tutti i pori. Nei solchi digitali di questo album troverete null’altro che del sano rock, scritto e suonato da gente ormai rodata e che sa benissimo quali corde toccare per esaltare ed emozionare. La voce di Glenn Hughes, poi, sembra magicamente rimasta ai tempi di “Burn” dei Deep Purple, e stiamo parlando di metà anni ’70. Tutto è perfetto in “2”, e speriamo proprio che i BCC continuino a sfornare cd con questa continuità. (http://www.qnm.it/intrattenimento/black-country-communion-2-nuovo-album-del-supergruppo-video-post-34003.html)

Glenn Hughes, Joe Bonamassa, Derek Sherinian e Jason Bonham offrono nuova manna per tutti coloro che non riescono a fare a meno di questi suoni.

Due battute, infine, su alcune gemme che potrete ascoltare da “2”: “The Outsider” ospita un infuocato duello tra Joe Bonamassa e Derek Sherinian proprio come accadeva tra Ritchie Blackmore e Jon Lord nella notte dei tempi; “The Battle For Hadrian’s Wall”, cantata da Bonamassa, è un riuscitissimo brano pregno di atmosfere folk celtiche, che rimandano ai Led Zeppelin senza copiarne vuotamente l’approccio. Ottimo davvero! “An Ordinary Son”, buonissimo hard rock blues di matrice Bad Company, nella sua semplicità si rivela uno degli episodi meglio riusciti del disco, con uno Hughes assoluto protagonista e con atmosfere meravigliose che oggi in pochissimi sanno ricreare con credibilità. “Crossfire” è ancora grande hard rock, con un refrain semplicemente perfetto. Ma la vera bomba, l’apice del disco, si raggiunge con la conclusiva, strepitosa “Cold”, una canzone che giustifica la fiducia riposta in questo straordinario gruppo di musicisti, capaci di tirare fuori il capolavoro quando ormai sembravamo rassegnati ad accettare un ottimo disco di genere e niente più. D’altra parte, canzoni come queste le sentirete solo da loro. A voi la scelta! (http://www.metallized.it/recensione.php?id=5499)


“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it



sabato 3 settembre 2011

GOMEZ - Indie-pop perfetto per un mondo perfetto!

GOMEZ – “Whatever’s On Your Mind” (Ato Records, 2011) - www.gomeztheband.com

Tracklist:
01. Options (video)
02. I Will Take You There
03. Whatever’s On Your Mind (video)
04. Just As Lost As You
05. The Place And The People (video)
06. Our Goodbye (video)
07. Song In My Heart
08. Equalize
09. That Wolf
10. X-Rays (video)


I Gomez non hanno bisogno di particolari presentazioni o approfondimenti. Il loro genio musicale circola da ben 13 anni, e la loro bravura, con questo nuovo lavoro, non viene assolutamente smentita. La loro musica è sempre stata sviluppata in una sorta di cantiere musicale, un “work in progress” in continua evoluzione. Il quintetto di Southport (GB) è stato capace di inventare un proprio stile che ha sempre funzionato ed al quale non ha mai rinunciato continuando, anche con questo “Whatever’s On Your Mind”, a creare sperimentando nuove lezioni di forma e di eleganza.
Per i Gomez funziona in questo modo: Ian Ball vive a Los Angeles, Olly Peacock a Brooklyn, mentre Paul Blackburn, Tom Gray e Ben Ottewell sono rimasti a Brighton, in Inghilterra. A dividerli ci sono migliaia di chilometri, tre fusi orari e un oceano, eppure, con alti e bassi, continuano a pubblicare dischi come se niente fosse. Il nuovo “Whatever’s On Your Mind” - se escludiamo un live e una raccolta - è addirittura l’ottavo. Com’è possibile? In termini pratici la faccenda è quasi stravagante. Invece di stare insieme per scrivere e registrare, come quasi tutte le band di questo mondo, i Gomez, vista la distanza che li separa, hanno pensato bene di risolvere il problema linkandosi l’uno con l’altro, costantemente on line. In altre parole si sono creati una connessione “privata” per potersi scambiare in tempo reale i demo fatti in casa a chilometri di distanza: ognuno ha un certo numero di canzoni da fornire ogni settimana agli altri membri della band e questi sono liberi di metterci mano come meglio credono prima di condividere nuovamente il lavoro. Il risultato? Per “Whatever’s On Your Mind” i Nostri hanno pescato dieci pezzi da un totale disponibile di più di cinquanta, scritti nel giro di due anni. Si sono presi venti giorni per sistemarli (questa volta fisicamente insieme in uno studio a Charlottesville, in Virginia, in due sessioni da dieci giorni l’una), hanno invitato Luke Steele degli Empire Of The Sun e Stuart Bogie (già al lavoro con i Tv On The Radio) a dare un contributo strumentale, e infine si sono rivolti a Sam Farrar (bassista dei Phantom Planet e “fine conoscitore” del catalogo Gomez) per dare un senso compiuto al tutto. Più che un produttore, praticamente un editor. Arrivati a questo punto, c’è da chiedersi quanto tutto questo “movimento” possa aver inciso effettivamente sul disco. “Whatever’s On Your Mind” con i suoi trentotto minuti scarsi è il lavoro più breve dei Gomez. Eppure, incredibilmente, c’è tutto. Ci sono i pezzi tradizionali in tipico “Gomez style”, l’opening “Options”, “I Will Take You There”, “Just As Lost As You” e “Equalize” che non aggiungono molto a quanto già detto con i precedenti lavori, ma che si lasciano comunque ascoltare sempre con piacere. Ci sono le ballatone che hanno fatto e continuano a fare la fortuna dei cinque inglesi (davvero imbattibili in questo senso), vedi l’azzeccatissima titletrack e la perfetta (niente di meno) “Our Goodbye”. E c’è spazio anche per qualche esperimento elettronico riuscito un po’ a metà, tipo “That Wolf”, “Song In My Heart” e “The Place And The People” (con un interessante crescendo quasi “coldplayiano”). Ottima invece la chiusura quasi alternative con “X-Rays”, un pezzo che richiede qualche ascolto extra per essere debitamente assimilato, perché più spigoloso, stratificato e aggressivo rispetto al resto del disco, ma proprio per questo indubbiamente più interessante e ricco. (www.rockol.it/recensione-4661/Gomez-WHATEVER-S-ON-YOUR-MIND)
In un mondo perfetto, il pop sarebbe come il nuovo disco dei Gomez: belle melodie, arrangiamenti curati, sonorità morbide ma con anima rock e una poco appariscente ma riuscita sintesi tra generi diversi. “Whatevers On Your Mind” è un signor album, che soddisferà i fans storici della band e soprattutto piacerà a chiunque non li conosca ma sia dotato di un minimo di sensibilità e di buon gusto musicale. Inevitabilmente uno dei dischi estivi che ascolteremo di più anche per il prossimo imminente autunno. (www.therocksuckers.com/?p=2590)


“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it



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