sabato 31 marzo 2012

SWEET / "New York Connection": una superba collezione di classic tracks e di sorprendenti covers.

SWEET “New York Connection” (autoproduzione, 2012) - www.thesweet.com

Tracklist:
01-New York Groove/New York (Hello / Alicia Keys) (VIDEO)

02-Gold On The Ceiling (Black Keys)
03-All Moving Faster (Electric Frankenstein)
04-New York Connection (Sweet) (VIDEO)

05-Shapes Of Things (Yardbirds)
06-You Spin Me Round (Dead Or Alive)
07-Because The Night (P. Smith/B. Springsteen)
08-Sweet Jane (Velvet Undeground)
09-Blitzkrieg Bop (Ramones)
10-On Broadway (George Benson)
11-Join Together (Who) (
VIDEO)

Sweet hanno ripescato "New York Connection" dal proprio repertorio per riproporla 40 anni dopo come brano guida del nuovissimo album uscito nei giorni scorsi, ugualmente intitolato "N.Y.C./New York Connection", una superba collezione di classic tracks e di sorprendenti covers. Al momento non è reperibile in commercio ma la si può downloadare (a pagamento) da iTunes e molto presto sarà possibile acquistare il cd anche in formato fisico direttamente dal loro sito web www.thesweet.com.
Sweet sono una storica rock band formata a Londra, Regno Unito, nel 1968. Tra i più grandi esponenti del movimento glam rock e hard rock negli anni ’70, furono tra i pochi gruppi che in quella decade iniziarono a sperimentare suoni heavy metal tanto da influenzare in particolar modo la sottocorrente del “glam-pop-metal” sviluppatasi nei successivi anni ’80 (http://it.m.wikipedia.org/wiki/Sweet). Dichiarazioni tipo: "Senza gli Sweet non avrebbero mai potuto esistere i Kiss" (detta da Gene Simmons), "Volevamo essere gli Sweet" (detta da Nikki Sixx dei Mötley Crüe), oppure ancora "Questa è la band in cui avrei voluto cantare se i Def Leppard non fossero mai nati” (detta da Joe Elliot dei Def Leppard”) mi pare siano indicative in questo senso… e scusate se è poco!
"New York Connection", l’album che sancisce il rientro in pista degli Sweet, a 10 anni dall’ultima produzione in studio (senza contare un paio di live autoprodotti pubblicati nel frattempo), è una raccolta di covers, si diceva poco più su. Ma di covers molto, molto particolari, legate da un filo rosso comune che, tra testi e musiche di disparatissima provenienza, attraversa in lungo e in largo la “Grande Mela” trafiggendola da parte a parte e rimbalzando tra gli ultimi 40 anni di musica del ’900 e questi primi 12 del 21° secolo. Una “connection” (da qui anche il titolo della stessa raccolta) pretestuosamente utilizzata per preparare un grande rientro – quello degli Sweet – che, riattualizzando soul, beat, blues, pop, punk e new wave, personalizzano “sweet-izzandole” alla lettera, canzoni lontanissime anni luce tra loro. Classici storici e preziose gemme firmate da George Benson, Yardbirds, Who, Velvet Underground, Patti Smith, Ramones, ma anche Hello, Dead Or Alive e Alicia Keys fino ad arrivare agli ultimissimi Black Keys, diventano nelle loro mani delle perfette “nuove canzoni” dal suono incredibilmente ma inconfondibilmente Sweet. A far da guida all'album c'è proprio questa vecchissima song, “New York Connection” (l’unica firmata dagli Sweet), appositamente ri-eseguita dall’odierna formazione dei medesimi: Andy Scott (chitarre e voce, unico membro superstite della formazione classica degli anni ’70) e poi Pete Lincoln (voce solista e basso), Tony O'Hora (chitarre, tastiere e voce) e Bruce Bisland (batteria, percussioni e voce). L'originale era sul lato "B" di "Wig-Wam Bam", noto singolo da 7 pollici di “bubblegum pop - rock” (http://it.m.wikipedia.org/wiki/Bubblegum_pop) targato 1972. Bentornati Sweet!
Nota a margine: “Bands e artisti solisti che hanno coverizzato le canzoni degli Sweet: Joan Jett and the Blackhearts, Def Leppard, Red Hot Chili Peppers, Scorpions, Saxon, Raven, Krokus, Poison, The Damned, Motorhead, Nuclear Assault, Ace Frehley (Kiss), Vince Neil (Mötley Crüe), Kevin DuBrow (Quiet Riot) Heathen, Stryper, Girlschool” (vedi http://it.wikipedia.org/wiki/Sweet)… solo per citarne alcuni!
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


MARK LANEGAN: un "funerale blues" ricco di colori e di ritmi inattesi

RADI@zioni / Disco Hot N° 7:
MARK LANEGAN BAND
“Blues Funeral” (2012)

Dopo ben 8 anni spesi in decine e decine di collaborazioni esterne torna dunque a farsi sentire il Mark Lanegan solista. L’ex Screaming Trees “resetta” tutto e si apre a nuove esperienze apponendo nuovi timbri al suo modo di fare musica. Dopo tutto quel rock chitarristico e quel country-folk d’atmosfera prevalentemente acustica aveva evidentemente voglia di intraprendere percorsi diversi, di giocarsi nuove carte, di spiazzare fans ed attese.
Il nuovo Lanegan solista non rinuncia a manipolare il suo classico armamentario poetico ma il suo “funerale blues” finisce per diventare pieno di ritmi e di colori inattesi. Ha deciso di limitare al minimo l’utilizzo di chitarre, basso e batteria per dare spazio in maniera preponderante a drum machine e sintetizzatori. La scelta si è rivelata azzeccata ed il nuovo prodotto è coinvolgente. Mister Blues continua a stupirci e a rimettersi in discussione. Il disco è solido e coeso. Certo, ci sono episodi meno riusciti, ma anche autentiche sorprese. Complimenti Mr. Lanegan!
(Carmine Tateo)

Tracce consigliate:
THE GRAVEDIGGER’S SONG (VIDEO)
PHANTASMAGORIA BLUES (VIDEO)
ODE TO SAD DISCO (VIDEO)


sabato 24 marzo 2012

VAN HALEN: un brivido che riporta a trent’anni fa!

VAN HALEN “A Different Kind Of Truth” (Interscope, 2012) - www.van-halen.com

Tracklist:
01. Tattoo
02. She's the woman (VIDEO)
03. You and your blues (VIDEO)
04. China town
05. Blood & fire
06. Bullethead (VIDEO)
07. As is
08. Honeybabysweetiedoll
09. The trouble with never
10. Outta space
11. Stay frosty (VIDEO)
12. Big river
13. Beats workin' (VIDEO)

Sublime ritorno scolpito tra feroci note rombanti che ridono di fronte alle rughe del tempo con cornice heavy. Eddie Van Halen e David Lee Roth lasciano un brivido che riporta a trent’anni fa, erba fresca che parla di anni ’80, atmosfere sonore che scintillano nel cielo della memoria, fiato di note che riescono a portarti tra le stelle. Mistero e magia di un chitarrista che torna a possederci con A Different Kind Of Truth. (www.sentio.it)
Occhio, però! Prima di accostarvi a questo album prendete nota di almeno un paio di importantissime avvertenze: 1° - il girovita delle persone normali in 28 anni aumenta, eccome se aumenta... a volte in maniera esponenziale; 2° - il mullet e/o la chioma cotonata che rendevano gloriose le vostre giornate (e le vostre teste) nel 1984 potrebbero non essere più al loro posto. Tenete ben a mente tutto ciò, perché il nuovo album dei Van Halen - incidentalmente il primo con David Lee Roth dal 1984 - potrebbe risvegliare l'eroe da party metal che è in voi. Risultato? Vi verrà voglia di rientrare in quei vecchi spandex a righe, magari a torso nudo, con il capello svolazzante nell'aere del salotto trasformato in un palcoscenico da stadio. Insomma, alla faccia degli scettici che non credevano possibile un ritorno in grande stile della coppia Eddie Van Halen/David Lee Roth; certo, il tempo è passato e non sarebbe corretto fingere di non saperlo, però un'uscita simile tiene fede, se non altro, alla reputazione che il gruppo si è costruito in quelli che furono i suoi anni d'oro. "A different kind of truth" è pop metal scanzonato, scintillante, pirotecnico, sbruffone il giusto e gigionissimo: i suoi brani melodici e saltellanti sono anche percorsi da una piacevole vena più hard del solito... insomma, è quasi a prova di bomba. E lo è soprattutto se non siete collezionisti di demo e outtakes, perché in questo caso poco vi importerà della polemica che impazza attorno alle 13 canzoni dell'album - pare infatti che la maggior parte di questo materiale sia stata presa da vecchi demo, scarti e frattaglie di 30 anni fa. Detto questo, alla fine quello che ci resta in mano resta comunque una bella prova. (www.rockol.it)
David Lee Roth o Sammy Hagar? Il tormentone che per anni ha spaccato i fans dei Van Halen ora forse trova una risposta. Sì, perché puoi leggere le notizie che li dipingono come vecchi pazzi, Eddie Van Halen a fare musica per film porno e Diamond Dave a fare l’infermiere in ambulanza, puoi ritenerli cotti, bolliti, andati…ma quando li metti insieme scatta la magia, quella che con Hagar non c’è mai stata. A trent’anni dall’uscita di Roth della band, questa volta è la volta buona, il ritorno vero. Il nuovo disco è una sberla in faccia. In faccia a chi conosce solo i Van Halen da “best of”, a chi si aspettava “Jump” o le ballatone di Hagar e i tastieroni anni ’80. In faccia agli amanti della chitarra elettrica. Improvvisamente ti accorgi di come ci siamo ridotti male negli ultimi anni, a colpi di suoni ipercompressi, sonorità artefatte e musicisti sopravvalutati. È una sberla perché è il disco più scassone e “va’ a quel paese” che abbiano mai fatto: prende i sassi migliori da dischi come “Fair Warning“, “Diver Down“, “Women And Children First“… quei dischi di cui ormai si ricordano solo i fans più accaniti, quei dischi che, anche se hai scaricato il torrent da 3 giga con la discografia completa, non ascolterai mai. (www.outune.net)
Insomma, dopo ben 14 anni di assenza sono tornati i Van Halen che fanno e suonano… i Van Halen. Non ci sono e forse non ci potevano essere novità di sorta, il sound è quello ben conosciuto ed è ancora trascinante come un tempo. Magari oggi potrà apparire un po’ datato perché di acqua (e di musica) sotto i ponti ne è passata tanta ma credo che agli aficionados farà un immenso piacere riascoltarli. Quanto alle qualità tecniche di Eddie Van Halen, un ripasso anche per i più giovani penso possa essere utile. (agesofrock.wordpress.com)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” di Brindisi – www.ciccioriccio.it.


sabato 17 marzo 2012

PONTIAK: in volo verso lande cosmiche e psichedeliche applicando tecnologia vintage e sfuriate ad altissimo volume

PONTIAK “Echo Ono” (Thrill Jockey, 2012) – www.pontiak.net

Tracklist:
1. Lions of Least
2. The North Coast (VIDEO)
3. Left With Lights (VIDEO)
4. Across the Steppe
5. The Expanding Sky
6. Silver Shadow
7. Stay Out, What a Sight
8. Royal Colors (VIDEO)
9. Panoptica (VIDEO)

I Pontiak, per chi ancora non li conoscesse, sono una band americana composta dai tre fratelli (non gemelli come si vocifera, anche se sono molto simili tra di loro) Carney, originari della Virginia. Il loro nuovissimo lavoro, dal titolo "Echo Ono", pubblicatolo lo scorso 21 febbraio sposta ancora di più l'asticella verso sonorità psichedeliche e hard rock anni settanta, cercando un punto d'incontro tra l'acidità degli Hawkwind, la compattezza dei Rainbow e il proto punk degli MC5. È l'evoluzione dello stoner quella che i Pontiak stanno perseguendo, sonorità meno pesanti e sempre più lisergiche, che partono stavolta da una forma canzone meno dilatata che in passato per poi esplodere in mantra ossessivi o ipnotiche cavalcate cadenzate. In poco più di mezz'ora di durata i Pontiak, attraverso il solo uso di strumentazione d'altri tempi e tecnologia analogica, esprimono il loro modo di vedere il rock americano, fatto di sfuriate ad altissimo volume, fraseggi ossessivi e momenti più riflessivi. (matildafather.com)
Secco, teso, vibrante, pronto a spiccare il volo verso lande cosmiche e psichedeliche: questo in sunto l’operato del trio americano giunto al proprio zenith creativo in virtù di una capacità oggigiorno sempre più rara. Essere cioè in grado di “misurare” il proprio lavoro, soppesarlo senza appesantirlo in distanze insopportabili, mostrare potenza senza per forza di cose essere ridondanti o parossistici, trovare infine il giusto equilibrio tra le anime che accendono i tre fratelli Carney sin dagli esordi. In soldoni, pesantezze hard, matrice stoner, influenze desert-rock & americana, velleità psycho-cosmiche. In “Echo Ono” tutto ciò si ritrova in equilibrio invidiabile. Non un minuto fuori posto, non una nota in più del necessario, mai un eccesso di zelo in una musica che, trasporto per trasporto, abbisognerebbe di slanci anche irrazionali e senza misura. (sentireascoltare.com)
L’album scorre leggero ed intenso al tempo stesso, è un ascolto che non affatica e che entusiasma ad ogni suo passaggio, contiene una piccola perla da apprezzare in ogni pezzo. Come già accennato si stacca dalla produzione precedente e al tempo stesso segna un avvicinamento alla forma canzone. L’unica eccezione è rappresentata dalla conclusiva “Panoptica”, 6 minuti ed oltre di rumorismo a cui i Pontiak ci hanno oramai abituato, ma per il resto il nuovo corso sembra tracciato. I fratelli Carney riescono a mescolare di nuovo le carte dando vita ad una tela dalle tinte variegate e vivide, proponendo un album in cui più che l’istinto prevale la ragione e, cosa più importante, rimanendo sempre sé stessi. Fanno centro per l’ennesima volta, sono quasi noiosi nel loro ripetersi ad alti livelli, e stavolta riescono anche a sorprendere. Dopo sei uscite in cinque anni si può tranquillamente parlare di certezza. (panopticonmag.com)
(Rino De Cesare)


“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.


ELEKTRO-GUZZI: "techno" vintage senza frivolezze

RADI@zioni / Disco Hot N° 6:
ELEKTRO-GUZZI “Parquet” (2012)

È nostra consuetudine andare ad esplorare ogni tanto i versanti elettronici della musica pop, ma sempre andando a cercare quella di ottima qualità, si capisce. Oggi, ad esempio, è la volta del trio austriaco (viennese per la precisione) che esegue della “techno” senza loop né sovra incisioni, realizzata cioè utilizzando i classici basso / chitarra & batteria, praticamente indistinguibile da quella realizzata tra Detroit e Berlino utilizzando strumenti e macchine elettroniche.
Un album che rapisce con un suono asciutto e vintage, che non bada a frivolezze ma colpisce duro, potente e prepotente.
Volteggi elettronici, ipnotici sottofondi e il solito incalzante ritmo.
Tutti in sella con gli Elektro–Guzzi!
(Carmine Tateo)

Tracce consigliate:
Pentagonia (VIDEO)
Panier (VIDEO)


sabato 10 marzo 2012

ORANGE GOBLIN: un nuovo incendiario capitolo per la band inglese

ORANGE GOBLIN “A Eulogy for the Damned” (Candlelight Records, 2011) - www.orange-goblin.com

Tracklist:
01. Red Tide Rising (VIDEO)
02. Stand for Something
03. Acid Trial (VIDEO
)
04. The Filthy & the Few
05. Save Me from Myself (VIDEO
)
06. The Fog (VIDEO
)
07. Return to Mars
08. Death of Aquarius (VIDEO
)
09. The Bishops Wolf
10. A Eulogy for the Damned (VIDEO)

Una buona notizia: gli Orange Goblin sono vivi e vegeti! Gli inglesi bazzicano l’universo heavy da circa quindici anni, eppure conservano quell’aria da eterni giovani, nonostante l’approccio da band rigorosa e professionale, tutta lavoro & sudore. Ad animarli, un’incredibile dedizione alla musica che pare non corra mai il rischio di disgregarsi, malgrado lo scorrere del tempo. Una piccola istituzione del metal contemporaneo, insomma, vista la gavetta e i sette album di studio fin qui pubblicati. A questo proposito, li avevamo lasciati nel 2007 con “Healing Through Fire”, un full-lenght granitico e corposo che si avventurava nei territori del concept-album a suon di riff e atmosfere plumbee. Ora, forti di una nuova etichetta discografica (la Candlelight Records) e di una ritrovata serenità interiore, Ben Ward (voce), Joe Hoare (chitarra), Martyn Millard (basso) e Chris Turner (batteria) affrontano, con “A Eulogy for the Damned”, il difficile passaggio alla piena maturità artistica. Il “nuovo corso” degli Orange Goblin è ben evidenziato dall’apertura pirotecnica affidata a “Red Tide Rising”, che pesta duro alla maniera dei Black Sabbath servendosi però della velocità tipica della “New Wave Of British Heavy Metal”. La band regala ottimi momenti anche quando punta su un mix di potenti linee chitarristiche e melodia, come in “Acid Trial”, mentre le trame blues di “Save Me from Myself” suonano come un chiaro tributo alle sonorità southern dei Lynyrd Skynyrd, rilette secondo i principi standard del rock duro degli anni ’80. Malgrado gli sforzi, gli Orange Goblin non sono ancora riusciti ad uscire dalla loro cerchia ristretta di accoliti. Con un pizzico di fortuna in più, canzoni così ben scritte avrebbero di sicuro trovato una popolarità molto più ampia. Ad ogni modo, se nei mesi scorsi avete ascoltato “The Hunter” dei più noti Mastodon, sappiate che “A Eulogy for the Damned” merita lo stesso grado di attenzione. Anzi, qui forse c’è anche più qualità di quella che mediamente si ascolta in giro. (www.labottegadihamlin.it/musica/549-orange-goblin-a-eulogy-for-the-damned.html)
Il predecessore “Healing Through Fire” (2007) era sì un buon disco, ma alternava ottimi spunti a cadute di tono imputabili soprattutto al carattere irrisolto dell’opera. Si percepiva che gli Orange Goblin, pur non volendo abbandonare la loro matrice stoner/doom, erano intenzionati a forgiare un suono più diretto e rock, tuttavia non erano ancora riusciti a calibrarsi bene per riuscire nell’impresa. Oggi scopriamo che la lunga pausa discografica è servita allo scopo: “A Eulogy For The Damned”, infatti, mostra la band inglese convinta e centrata, in grado di realizzare un album che, pur non disconoscendo affatto le radici di cui si nutre, riesce a far convivere amabilmente i vecchi riff sabbathiani con un moderno suono dal taglio super-heavy. Ben Ward e soci sono tornati baldanzosi e sicuri di loro stessi, tanto che si sta parlando di una delle migliori prove dell’intera carriera. In un mondo migliore gli Orange Goblin non sarebbero un gruppo di nicchia. Purtroppo ci dobbiamo accontentare di quello in cui viviamo. Ma per chi è davvero appassionato di hard’n'heavy e vuole setacciare nomi oltre ai soliti noti, snobbare questo album costituirebbe un peccato imperdonabile. (www.outune.net/dischi/hard/orange-goblin-a-eulogy-for-the-damned/47615)
Il settimo sigillo degli inglesi, “A Eulogy For The Damned”, è un monito duro contro la razza umana che sta portando sé stessa all'autodistruzione, “una razza morente dal momento in cui è nata”: queste le buie parole del cantante Ben Ward e, visti i tempi in cui ci troviamo, direi che tutto calza perfettamente a pennello. Forse nessuno, nemmeno i più accaniti sostenitori della band, si sarebbero aspettati un simile ritorno sulle scene da parte dei nostri ma, visti i risultati, il desiderio è che “A Eulogy For The Damned” segni inequivocabilmente un nuovo ed incendiario capitolo nella saga degli Orange Goblin. (www.metallized.it/recensione.php?id=6669)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” di Brindisi – www.ciccioriccio.it.



sabato 3 marzo 2012

BAND OF SKULLS: garage per tutti?

BAND OF SKULLS “Sweet Sour” (Electric Blues Recordings, 2012) – www.bandofskulls.com

Tracklist:
1. Sweet Sour (ASCOLTA)
2. Bruises (ASCOLTA)
3. Wanderluster
4. Devil Takes Care Of His Own
5. Lay My Head Down
6. You Aren’t Pretty But You Got It Going On
7. Navigate (ASCOLTA)
8. Hometowns
9. Lies
10. Close To Nowhere (ASCOLTA)

Piccolo fenomeno di successo commerciale venuto su dal nulla nel 2009 con il singolo “I Know What I Am”, una sorta di Seven Nation Army riveduta e corretta, finito anche nel videogame Guitar Hero, i Band Of Skulls ci hanno messo quasi tre anni per partorire “Sweet Sour”, il seguito di una nuova epopea nata in Inghilterra a suon di vecchi riff di classic-hard rock e melodie eteree folkeggianti. Sta infatti nella contrapposizione tra canzoni new-folk e la struttura da power-trio alla Cream (o diremmo più i Black Mountain, per arrivare anche ai Black Keys magari), basata sulla chitarra di Russell Marsden e la vocalità sognante della bassista Emma Richardson, la sorpresa musicale dei Band Of Skulls, ma questo secondo capitolo evidenzia come la band, completata dal batterista Matt Hayward, abbia ottime cartucce da sparare anche in termini di scrittura. (rootshighway.it)
Dopo un album dal successo a scoppio ritardato, come il precedente “Baby Darling Doll Face Honey”, i Band of Skulls ritornano quindi con un pugno di brani che hanno tutte le carte in regola per innalzare ulteriormente il loro grado di popolarità, ed altri fatti per soddisfare palati più esigenti. Ai primi appartengono l'heavy tellurico della title track e lo stomp sulfureo del singolo “Devil Takes Care Of His Own”, in cui i tre scorrazzano per territori a loro congeniali. A solleticare gli appetiti di chi non si accontenta di scosse pelviche, è quel curioso mix di vibrazioni heavy e suggestioni celtiche che fanno capolino a partire da “Lay My Head Down”. Gran parte del merito si deve alla voce di Emma Richardson che, oltre al nome, condivide il timbro silvestre di Emma Pollock; una somiglianza che su “Navigate”, complice il toccante afflato folk pop, mette i brividi e avvicina la band ai chiari di luna dei The Delgados di “Hate”. (sentireascoltare.com) 
Diciamo francamente che non ci aspettavamo granché dal nuovo dei Band of Skulls. D'altronde l'esordio del trio londinese sembra ancora oggi privo di quel sano e puro spirito blues che invece muove questo “Sweet Sour”, che oltre a presentare suono e melodie convincenti - sia nei pezzi più pesanti e a tratti filo-Queens Of The Stone Age, che soprattutto in quelli lenti - ha anche il pregio o la fortuna di uscire nel momento giusto. Non avrà il successo commerciale degli ultimi Black Keys, ma la sensazione è che questo disco possa dire la sua nella tendenza del periodo, ovvero quella che vede il ritorno di queste sonorità non solo nelle radio, ma anche nelle pubblicità e negli stadi. Finalmente un po' di garage per tutti? (panopticonmag.com)
(Rino De Cesare)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.


CALIBRO 35 colpiscono in pieno l'orecchio dell'ascoltatore!!!

RADI@zioni / Disco Hot N° 5:
CALIBRO 35 "Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale" (2012)

Graditissimo ritorno quello dei Calibro 35, nati nel 2007 con l’obbiettivo di rileggere le colonne sonore dei film polizieschi degli anni ’70, portando avanti un progetto/omaggio ad un genere musicale spesso ingiustamente trattato quando non ignorato.
Fino a qualche anno fa era impensabile vedere concerti gremiti di ventenni accorsi per ascoltare il sound dei Calibro 35, un ibrido di funk, musica classica, hard rock, progressive e psychedelia. Beh, ora tutto è cambiato forse grazie anche all’aiuto della “Tarantino – mania”.
“Ogni riferimento…” è il terzo capitolo della band e segna un parziale smarcamento dalla forma dei due precedenti… Non più solo cover di pezzi storici o falsi d’autore perfettamente in stile, ma anche qualche allargamento d’orizzonte pur senza sconvolgere nulla ma, anzi, affermando con maggior forza la loro ben precisa identità.
Registrato a New York,presso la “Brooklyn Recordings”, l’album – è proprio il caso di dirlo – colpisce in pieno l’orecchio dell’ascoltatore!

(Carmine Tateo)

Tracce consigliate:
01 – Ogni riferimento… è puramente casuale (VIDEO)
03 – Arrivederci e grazie (VIDEO)
05 – Il Pacco (VIDEO


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