domenica 30 ottobre 2011

CLAP YOUR HANDS SAY YEAH: di talento ne hanno ancora da vendere!!!

CLAP YOUR HANDS SAY YEAH “Hysterical” (V2 Music, 2011) – www.clapyourhandssayyeah.com

Tracklist:
1. Same Mistake (video http://youtu.be/sbm3fczhVsM)
2. Hysterical (video http://youtu.be/IIaomBvsegQ)
3. Misspent Youth
4. Maniac (video http://youtu.be/dz_vKDw1D40)
5. Into Your Alien Arms
6. In A Motel
7. Yesterday, Never
8. Idiot
9. Siesta (For Snake)
10. Ketamine And Ectasy
11. The Witness’ Dull Surprise
12. Adam’s Plane (video http://youtu.be/5w5UvUEq3Nk)


Di tradimenti, si sa, è piena la storia del rock. La leggenda vuole che Bob Dylan, presentandosi a Newport nel ’65 con in braccio una chitarra elettrica, abbia a malapena evitato il linciaggio, attirando su di sé le ire della comunità folk. Qualcosa di simile accadde ai Clash quando nell’anno di grazia 1979 diedero alla luce “London Calling”, album destinato a cambiare per sempre la storia della musica rock ma che fece imbestialire i vecchi fan della band, che accusarono di “tradimento ideologico” Joe Strummer e soci. All’uscita di “Kid A”, nell’ottobre del 2000, i Radiohead regalarono ai posteri uno dei dischi più influenti degli ultimi 20 anni, ma dissero per sempre addio ad una nutrita schiera di ammiratori che sperava in un “Ok Computer” atto 2°. Con il dovuto rispetto per i mostri sacri appena citati, non è azzardato affermare che simile sorte potrebbe toccare anche ad “Hysterical”, il 3° album dei Clap Your Hands Say Yeah, destinato a deludere molti degli “abitanti dell’indie-sfera”, che da quattro anni ormai attendevano con trepidazione il nuovo disco della band di Brooklyn. “Hysterical” dice addio a quasi tutte le stravaganze ed alle allegre iperboli ritmiche che hanno tratteggiato la personalità dei CYHSY, assumendo così le fattezze di un tradimento urlato senza timori in faccia a tutti i fans più ortodossi. Mentre nel frattempo piovono giù dal cielo già le prime stroncature, chi ha ancora fiducia nei CYSHY non deve far altro che ignorarle e premere play. I ragazzi sono tornati e di talento ne hanno ancora da vendere, nonostante tutto. (http://www.kalporz.com/wp/2011/10/clap-your-hands-say-yeah-hysterical-v2-music-2011/)
“Hysterical” nel complesso è però un disco solido. Non ripete l’osannato debutto (che comunque viene richiamato spesso) e non innova il genere, ma innova sicuramente il loro modo di intendere questo genere (per chi ama la divisione in generi). (http://www.indieforbunnies.com/2011/09/30/clap-your-hands-say-yeah-hysterical/)
Difficilmente i CYHSY riusciranno a scrivere una canzone con un ritornello orecchiabile e canticchiabile in due ascolti, altrettanto difficilmente in un loro disco però troverete un brano banale o scontato ed “Hysterical”, pur restando fedele al sound della band, propone una variante saltuariamente più pop che permette di renderlo davvero piacevole anche a chi la voce un po’ cantilenante del vocalist finiva per dare fastidio. Certo, manca forse l’originalità del debutto, mancano certe spigolosità che avevano fatto del 1° disco quasi un manuale di un sound bello e ricercato, ma ancora una volta i CYHSY riescono a dimostrare la capacità di scrivere dei bei pezzoni. (http://www2.troublezine.it/reviews/17384/clap-your-hands-say-yeah-hysterical)
Quattro anni e mezzo sono un’eternità, per una band di quelle nate negli anni ’00, nate dal web, per il web e con il web; e anche se con il bel “Some Loud Thunder” avevano subito messo in chiaro di non essere buoni per un solo giro di valzer, una pausa così lunga resta insolita. Ma c’è il rovescio della medaglia: se ti fermi il mondo va comunque avanti, macina tutto, e si scorda presto di chi è rimasto indietro. Disco importante quindi, questo “Hysterical”, perché frattanto ricolloca i CYHSY sulla scacchiera della musica dei nostri anni e lo fa in grande stile, con la produzione di John Congleton (che s’è occupato anche degli Okkervil River fra gli altri) a rimarcare a fondo le differenze tra il gruppo che è adesso e quello che fu. Ma intanto, dov’è finita l’attitudine da studenti della art school cresciuti a pane, Velvet Underground e Talking Heads dell’esordio? Dov’è il pop degli anni ’60 che riempiva il secondo disco? Da qualche parte saranno pure finiti, perché l’identità resta inequivocabile, foss’anche solo per la voce di Alec Ounsworth. Complice il solito discreto ondeggiare stilistico, occorre un po’ per trovare la chiave di questo disco, quindi predisponetevi ad ascolti ripetuti. Come per certi quadri, prima di cogliere la figura d’insieme vi resteranno in mente singoli dettagli, finché, superata metà scaletta, vi troverete piacevolmente sorpresi dalla qualità del songwriting. Abbastanza per rendersi conto che è meglio averli tra i piedi, i CYHSH. (http://www.sentireascoltare.com/recensione/9180/clap-your-hands-say-yeah-hysterical.html)


“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.


THE RAPTURE: un ritorno in gran forma ma restano un gruppo di nicchia

THE RAPTURE “In The Grace Of Your Love” (2011)

… The Rapture sono ormai in giro da un bel po’ di anni! “In The Grace Of Your Love” è, dopotutto, soltanto il loro 5° disco… ma chiunque, ascoltando un qualsiasi loro vecchio album, avrebbe potuto facilmente profetizzare che questa band avrebbe potuto riscuotere in breve tempo un buon successo. Invece, a dispetto di tutti (e lo conferma anche questo lavoro), sono rimasti soltanto un gruppo di nicchia.
“In The Grace Of Your Love”, alla fin fine, è un gran bel lavoro e conferma quanto di buono si era già detto di questa band. Un ritorno in gran forma con il solito sound a base di funk, rock & dance… Ma, attenzione! Non è il solito disco fotocopia dei precedenti… che, davvero, non è cosa da Rapture! È una raccolta di brani che comunque potrebbe risultare di abbastanza difficile fruizione ad un primo distratto ascolto, ma che, pian piano, molto gradualmente, una volta entrati nel meccanismo dei ritmi Rapture, riesce a catturare e a rapire. Dopo 13 anni di attività The Rapture riescono ancora ad essere in piena eruzione musicale. Complimenti!
(Carmine Tateo - e-mail: carmine.taty@live.it)

… concludendo: Vi ricordo che testi e scelte musicali di questo particolare frammento radi@ttivo sono proprio a cura di Carmine Tateo, vi do appuntamento alla settimana prossima con un altro Disco Hot sempre da Ciccio Riccio, sempre con RADI@zioni ma sempre con Camillo Fasulo pronto a dar voce alle affermazioni del buon Carmine!… e a proposito, se volete dialogare con lui, lo potrete trovare anche su Facebook (www.facebook.com/profile.php?id=100003030496813&ref=ts)… chiedetegli amicizia!


Tracce consigliate:
IN THE GRACE OF YOUR LOVE (video http://youtu.be/0d_ijro_PPQ)
SAIL AWAY (video http://youtu.be/wlQgBZEloy4)
NEVER DIE AGAIN (video http://youtu.be/YUURBYFn9Z8)


(a cura di Camillo "RADI@zioni" Fasulo)

sabato 22 ottobre 2011

THE LOW ANTHEM - Un album per nostalgici sognatori in cerca di un rifugio dalla frenetica e caotica quotidianità del nostro mondo

The Low Anthem “Smart Flesh” (Nonesuch, 2011) – www.thelowanthem.com

Tracklist:
1. Ghost Woman Blues (video http://youtu.be/Vpadm5i_CKU)
2. Apothecary Love (video http://youtu.be/fW3khY7Lk8g)
3. Boeing 737
4. Love And Altar
5. Matter Of Time
6. Wire
7. Burn (video http://youtu.be/eeqB3meJpxU)
8. Hey, All You Hippies
9. Ill Take Out Your Ashes
10. Golden Cattle (video http://youtu.be/o_lWVV6PtHs)
11. Smart Flesh

La musica dei Low Anthem si colloca in quella terra di mezzo tra country, folk, blues e gospel che già in passato artisti come Bob Dylan e soprattutto The Band hanno ampiamente esplorato. In effetti, a voler essere puntigliosi, in "Smart Flesh" di novità non ce ne sono. Nonostante ciò, la musica del quartetto di stanza a Providence, Rhode Island, è ben lungi dal suonare come la copia sbiadita di certi capolavori di Mr. Zimmerman o di Robbie Robertson: in queste 11 tracce, il fuoco sacro dell'ispirazione, corroborato da una creatività genuina, arde potente ed avvolge l'ascoltatore col suo calore. Le partiture composte sono percorse da una sorta di malinconico e disperato languore, che si esprime in forme umili, dimesse, in ballate che suonano desolate, essenziali, nonostante, tuttavia, esse vantino arrangiamenti finemente intarsiati, in cui il lavoro di chitarre, basso e batteria è arricchito da discreti quanto preziosi interventi di clarinetti, harmonium, organi, pianoforti, scacciapensieri, accordion, armoniche, corni, seghe musicali, nipple gong e fiddle. L'arte dei The Low Anthem è povera solo in apparenza: il suo ostentato retromodernismo è quanto di più postmoderno ci sia, giacché esso è il veicolo attraverso il quale Miller e Prystowsky (i fondatori della band) si riappropriano dello Zeitgeist, dello spirito di un'epoca (la fine degli anni Sessanta), piegandone poi il sound ad una personale rilettura, che non può ovviamente esimersi dal fare i conti con le più recenti avventure in questo campo, dai Fleet Foxes ad Iron & Wine (www.labottegadihamlin.it).
Un elemento fondamentale per capire pienamente la musica di “Smart Flesh”, che può risultare meno immediata al primo ascolto rispetto ai due dischi precedenti, è la scelta del luogo di registrazione. Tra fine 2009 ed inizio 2010, infatti, i Low Anthem si sono trasferiti in una fabbrica di conserve abbandonata da tempo ed in quegli spazi immensi e vuoti di cemento armato hanno registrato una serie di sessioni dalle quali sono derivate 7 delle 11 canzoni del nuovo album. Questa scelta di trovare un luogo in cui potere modellare un suono senza la purezza artificiale dello studio di registrazione permea l’intero disco. La fabbrica abbandonata con i suoi echi, le sue presenze misteriose di pipistrelli e fantasmi ed il freddo del cemento nell’inverno del Rhode Island non solo ha un impatto sul suono e sulle scelte di arrangiamento, ma anche sulla vena compositiva della band. Nascono quindi canzoni fortemente toccanti e avvinghiate ad una profonda malinconia, un tesoro emerso da uno scrigno senza tempo che tali rimarranno per sempre grazie alla loro assoluta e fragile bellezza (www.mescalina.it).
Dire quali siano i migliori brani di questo album è cosa ardua, e lo si era già capito ascoltando “Ghost Woman Blues”, singolo che ha anticipato l'uscita di “Smart Flesh”, in cui a farla da padrone sono pianoforte e clarinetto. C'è poi il folk solare di “Apothecary Love”, in cui il theremin gioca un ruolo fondamentale mescolato però a strumenti tipicamente folk; troviamo poi la cavalcata rock di “Boeing 737”, che sfuma nella solennità corale di “Love And Altar” e di “Golden Cattle”, per poi passare alla perfetta semplicità di “Matter Of Time” e di “Wire”, strumentale per clarinetto composto da Jocie Adams. Ci sono le malinconiche sonorità degli Appalachi in “Burn” e in “I'll Take Out Your Hashes” e un po' di anni ’50 in “Hey, All You Hippie”! E, come perfetta conclusione, c'è la magia di una ballata quale è appunto la title track “Smart Flesh”, in cui si ritrovano le atmosfere della traccia d'apertura, “Ghost Woman Blues”, come a voler chiudere un cerchio immaginario e ben costruito. Insomma, Ben Knox Miller, Jocie Adams, Jeff Prystowsky, Mat Davidson ci hanno regalato un album senza tempo, pieno di atmosfere differenti e di "echi di altri tempi e luoghi"; un album per nostalgici sognatori in cerca di un rifugio dalla frenetica e caotica quotidianità del nostro mondo (www.radiogas.it).
Rino De Cesare
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.


domenica 16 ottobre 2011

dEUS - Con il nuovo album si torna in parte a sonorità meno ovvie, ma gli esaltanti esordi sono ormai lontanissimi

dEUS “Keep You Close” (Pias, 2011) – www.deus.be

Tracklist:
1. Keep You Close (video http://youtu.be/sTD-SxLKqTQ)
2. The Final Blast
3. Dark Sets In (video http://youtu.be/dtKakPqVpNU)
4. Twice (We Survive)
5. Ghost (video http://youtu.be/nyDnekI6fJ8)
6. Constant Now
7. The End Of Romance
8. Second Nature (video http://youtu.be/X6Su2ccotOU)
9. Easy (video http://youtu.be/S3YiWReruQA)


Tornano i dEUS a tre anni di distanza da quel “Vantage Point” che fece storcere il naso ai loro fans più fedeli che vedevano in quell’album un abbandono delle sonorità tipiche della band belga capitanata da Tom Barman, in favore di sonorità più commerciali (http://www.rockshock.it/recensione-deus-keep-you-close/). Detta altrimenti, la scaletta di “Keep You Close” mette in fila nove pezzi piuttosto ispirati e ben confezionati, forse la miglior collezione dai tempi di “The Ideal Crash”. Non fa né meno né più di questo, ma lo fa piuttosto bene. D'altro canto, non possiamo esimerci dal tornare con la mente a quei dEUS che rappresentarono una possibilità di rock "diversamente indie" nei ’90s: lo spiffero nel vaso di Pandora da cui sprizzavano spiritelli zappiani, inquietudini mitteleuropee, foghe noise e allucinazioni cabarettistiche. Ecco, di quell’incredibile e indisciplinato brio, non è rimasto praticamente nulla, barattato alla pari con la padronanza dei mezzi e la lucidità calligrafica. Poco male, si sa come vanno queste cose. Sarebbe comunque intellettualmente disonesto non considerarlo un buon disco (http://www.sentireascoltare.com/recensione/9092/deus-keep-you-close.html).
Con questo album la band torna in parte a sonorità meno ovvie, senza però abbandonare le atmosfere della loro precedente produzione. La titletrack “Keep You Close”, con la quale si apre l’album, è molto interessante e presenta atmosfere molto intense (http://www.rockshock.it/recensione-deus-keep-you-close/), ma sono brani come “Dark Sets In” – con un cameo di Greg Dulli (Afghan Whigs, Twilight Singers, Gutter Twins), anche sulla seguente “Twice” – a convincere appieno, grazie a un’immediatezza tutta rock che si traduce in un bell’impatto frontale. Keep You Close” segna la parziale ripresa di un’espressività più vicina ai canoni più tipici della band di Anversa, quella di album come “Worst Case Scenario” (1994), oppure il più delicato “In A Bar Under The Sea” (1996) (http://www.impattosonoro.it/2011/10/03/recensioni/deus-keep-you-close/). Ma messe via certe divagazioni meno strettamente legate all'ambito alt-rock, il quintetto sembra ormai voler porre un freno all'imprevedibile esplosione di colori che caratterizzava la loro musica per avvicinarsi, in un certo qual modo, ad una dimensione più definitivamente rock. Un album che consegna una band ormai consapevole dei propri mezzi e a proprio agio nel comporre sontuosi e raffinati affreschi alt-rock, ma che ha ormai perso la componente schizoide degli anni giovanili. D'altronde, se anche Thurston Moore (Sonic Youth) sembra essersi dato a chitarre acustiche e violini, perché non si dovrebbe accettare la mutazione di Tom Barman? Gli anni passano per tutti, ma i dEUS invecchiano con assoluta dignità (http://www.ondarock.it/recensioni/2011_deus.htm).
Gli ammiccamenti pop che hanno caratterizzato il precedente disco non sono stati del tutto accantonati, ma lavorano in funzione di brani più energici e dallo scheletro tipicamente rock, andando quindi a impreziosire, soprattutto per quanto riguarda la ricchezza degli arrangiamenti, il song writing astuto, divertente e anti-convenzionale, vero trademark dei dEUS. Più rilassati e orecchiabili appaiono episodi come “Ghosts” o “The Final Blast”, dove i ritmi si fanno più languidi, seguiti dalla voce soft del frontman. Discutibile invece la scelta del singolo, “Constant Now”, brano pop-rock d’ispirazione ’80s, certamente non tra i brani più riusciti e indicativi di questo lavoro (http://www.impattosonoro.it/2011/10/03/recensioni/deus-keep-you-close/). In definitiva, “Keep You Close” potrebbe anche piacere ai seguaci della prima ora, ma dovrebbe accontentare maggiormente i nuovi proseliti della band belga (http://www.rockshock.it/recensione-deus-keep-you-close/) e, sebbene non perfetto e di certo non fondamentale nel panorama indie contemporaneo, potrebbe sicuramente essere visto come l’album della personale maturità espressiva, un lavoro nel quale la sintesi fra l’espressività senza filtro degli esordi e il sound più ricercato e ragionato degli ultimi anni convivono senza scontri, ma arricchendosi, anzi, vicendevolmente, confermando quindi le indubbie qualità dei dEUS quali validi interpreti dei diversi modelli musicali che da sempre li hanno ispirati, fondendosi in un impasto sonoro sempre unico e riconoscibilissimo (http://www.impattosonoro.it/2011/10/03/recensioni/deus-keep-you-close/).
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.


SCREAMING TREES - 10 piccoli gioielli fuori dal tempo per la voce di Mark Lanegan

SCREAMING TREES “Last Words – The final recordings” (2011)

… Tornare indietro di 10 anni è impossibile, ma musicalmente si può fare ascoltando questa pubblicazione postuma degli Screaming Trees che cessarono la loro attività come band nell’ormai lontano 1999 (queste canzoni risalgono infatti a quell’epoca). A restituire luce a questi brani è stato il batterista (l’ex batterista di quella band) Martin Barrett, che con l’aiuto di Peter Buck (dei R.E.M.) e di Josh Homme (dei Kyuss e dei Queens Of The Stone Age) ha pensato bene di mettere in circolazione questo materiale mai edito in precedenza… dieci piccoli gioielli rock fuori dal tempo per la voce di Mark Lanegan.
Il rimpianto degli Screaming Trees è quello di non aver mai raccolto, in termini commerciali e anche di critica, quanto forse avrebbero meritato quando erano in vita. In definitiva “Last Words” non aggiunge un granché a quanto già espresso, tuttavia appare come un’operazione gradita e onesta per tutti i fans e naturalmente anche per chiunque volesse ripercorrerne la storia a ritroso. Grazie Screaming Trees!
(Carmine Tateo)

Carmine consiglia:
ASH GRAY SUNDAY (video http://youtu.be/FS26uaqvx4Y)
REFLECTIONS (video http://youtu.be/lXjLi6wwO9U)
TOMORROW CHANGES (video http://youtu.be/SukPql_3QEg

(a cura di Camillo "RADI@zioni" Fasulo)



sabato 8 ottobre 2011

ANVIL - classico heavy metal schietto, diretto e ottantiano sino al midollo

ANVIL “Juggernaut Of Justice” (The End, 2011) - www.anvilmetal.com

Tracklist:
1. Juggernaut Of Justice (video http://youtu.be/wADzOYyGOJY)
2. When Hell Breaks Loose (video http://youtu.be/NFHz10DjB5g)
3. New Orleans Voodoo
4. On Fire
5. Fukeneh!
6. Turn It Up

7. This Ride (video http://youtu.be/376w8skpVVg)
8. Not Afraid (video http://youtu.be/974JYR9pomM)
9. Conspiracy
10. Running
11. Paranomal
12. Swing Thing (video http://youtu.be/1BzWnW0ksGw)


Ritornano gli immarcescibili Anvil, a quattro anni dal precedente full length “This Is Thirteen” e a due dal docufilm “Story Of Anvil” che ne ha rinverdito il mito. Un mito che comunque è stato sempre piuttosto sotterraneo, anche in ambito prettamente hard’n'heavy, poiché la band canadese non ha mai raccolto quello che, probabilmente, avrebbe meritato. Ovviamente nulla è cambiato nella musica di Steve “Lips” Kudlow e Robb Reiner. Lo s’intuisce fin dal titolo, formato (come in ogni disco della band) da tre parole, la prima e l’ultima delle quali sono come di consueto contraddistinte dalla stessa iniziale. Un marchio di fabbrica che va di pari passo con il sound inamovibile dei Nostri: heavy metal di quello schietto, diretto e ottantiano sino al midollo. Beh, Credo sia tutto quel che c’è da sapere sugli Anvil. I loro pochi fans avranno di che gioire, ma anche chi è cresciuto a pane e metal dovrebbe dare una chance a questo pur ottimo disco. (www.outune.net/dischi/hard/anvil-juggernaut-of-justice/21605)
Sin dall’apertura, il disco chiarisce chiaramente qual è la direzione verso cui Lips e soci hanno deciso di marciare: riff potenti, voce sgraziata, batteria e basso che scandiscono il tempo implacabilmente. Sembra di aver messo nello stereo un album registrato negli anni ’80. Ed è proprio la title-track a dare fuoco alle polveri; la battaglia sta per iniziare e chitarra, basso e batteria vengono approntate per l’assalto; “When Hell Breaks Loose” conferma la volontà dei canadesi di non fare prigionieri. Il pezzo non concede un attimo di respiro, i nostri continuano a martellare senza pietà. (www.truemetal.it/reviews.php?op=albumreview&id=9884)
Ora, a quattro anni di distanza dal precedente "This Is Thirteen", gli Anvil ritornano in pompa magna con dodici mazzate inedite che ovviamente non cambiano di una virgola le coordinate stilistiche del loro sound. "Juggernaut of Justice" è stato registrato negli Studio 606 di Dave Grohl in California con il noto produttore Bob Marlette al timone, meritevole di aver forgiato un sound scintillante ed affilato. (metalitalia.com/album/anvil-juggernaut-of-justice/)
Ogni riff è implacabilmente etichettabile come heavy metal anni Ottanta, con qualche spruzzatina di proto-thrash e di speed (non dimentichiamo che gli Anvil, coi loro primi due album, ispirarono i maestri del thrash metal a stelle e strisce): insomma, esattamente quello che da sempre ci si aspetta da un disco di Lips e compagni. (www.rockol.it/recensione-4625/Anvil-JUGGERNAUT-OF-JUSTICE)
La title track, "When Hell Breaks Loose", "Not Afraid" e "This Ride" (quest’ultima cantata dal bassista Glenn Five) rappresentano il poker d’assi del disco: quadrati guitar riffs al granito violentati dai tipici assolo al vetriolo di Lips, sorretti dal puntuale e devastante drumming di Reiner. (http://metalitalia.com/album/anvil-juggernaut-of-justice/)
Va doverosamente sottolineato che l’ugola di Lips non è mai stata particolarmente virtuosa, ma anche in questa occasione conferma di reggere bene la prova del tempo, dimostrando a tutti che gli Anvil sono ritornati più agguerriti che mai reclamando il trono di certo metal classico che gli spetta da oramai troppo tempo. Curiosa l’idea di chiudere l’album con la divertente "Swing Thing", breve traccia strumentale nella quale il buon Reiner duella con una sezione di fiati di chiara matrice jazz. (http://metalitalia.com/album/anvil-juggernaut-of-justice/)
Cari detrattori, rassegnatevi. Questa volta gli Anvil hanno vinto e sbancato, presentandovi garbatamente il dito medio alzato e un beffardo ghigno di trionfo dipinto sul volto!
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.


sabato 1 ottobre 2011

JONATHAN WILSON - Il suo “Gentle Spirit” è una specie di romanzo storico del folk-rock

JONATHAN WILSON “Gentle Spirit” (Bella Union, 2011) www.songsofjonathanwilson.com

Tracklist:
1. Gentle Spirit (video http://youtu.be/oiNv8XRpZ-8)
2. Can We Really Party Today?
3. Desert Raven
4. Canyon In The Rain
5. Natural Rhapsody (video http://youtu.be/lQvE1Vs5Bps)
6. Ballad Of The Pines
7. The Way I Feel
8. Don’t Give Your Heart To A Rambler
9. Woe Is Me
10. Waters Down
11. Rolling Universe
12. Magic Everywhere
13. Valley Of The Silver Moon



Il firmamento roots americano s’arricchisce quest’anno di una nuova stella: Jonathan Wilson. A molti di voi questo nome non dirà niente, eppure il songwriter nativo di Forest City, North Carolina, proprio uno sconosciuto non è. Malgrado la sua giovane età (37 anni), ha già svolto un’intensa attività di produttore, lavorando, tra gli altri, con gente del calibro di Elvis Costello, Erykah Badu, Josh Tillman (batterista dei Fleet Foxes), Will Oldham e Robbie Robertson. Il balzo dall’altra parte della barricata, per così dire, il nostro l’aveva in effetti già tentato un paio di volte: la prima come leader dei Muscadine, coi quali aveva pubblicato, nel lontano 1998, “The Ballad of Hope Nichols”, passato sotto silenzio; la seconda come solista, con quel “Frankie Ray” che, ultimato nel 2007, non ha però mai visto la luce. “Gentle Spirit” è dunque, a tutti gli effetti, il suo debutto, ed è, tanto per esser chiari, un signor album. Le tredici tracce fondono in maniera equilibrata e sapiente country, folk, blues e psichedelica: le raffinate trame intessute da basso, batteria, organo e chitarre, con l’aggiunta di qualche spruzzo d’elettronica, rimandano agli spazi assolati del Laurel Caynon, uno dei santuari della controcultura hippie anni ’60. Registrato interamente in analogico con una consolle del 1972 e concepito essenzialmente per il vinile (a detta di Wilson, qui anche produttore, «l’unico formato che abbia un significativo valore»), “Gentle Spirit” è uno di quei dischi che non si dimenticano facilmente, opera di un artista nel pieno della sua maturità espressiva, capace di incantare con la purezza e la semplicità che sono prerogative dei grandi. (www.labottegadihamlin.it)
“Gentle Spirit” è una specie di romanzo storico del folk-rock, nel quale dall’inizio alla fine si avverte forte la presenza dello spettro inquieto di Neil Young, del Neil Young che quarant’anni fa forgiava i suoi capolavori da country-man baciato dalla grazia degli dei del rock and roll. Gli arrangiamenti, il songwriting, la voce, tutto rimanda al vecchio campione canadese. E poi - come se quando si parla di un disco fossero sempre l’ultima delle cose - le canzoni. Tutte belle. Il registro più o meno è sempre lo stesso, bucolico e lirico, i canoni non saltano mai, il discorso iniziato con la lieve e melodiosa title track non si interrompe fino alla fine. Ascoltatelo con gusto, senza domandarvi troppe cose: ascoltate gli echi vagamente elliottsmithiani di “Can We Really Party Today”, il fingerpicking di “Ballad Of The Pines”, l’onda psichedelica di “The Way I Feel” e quella di “Woe Is Me”. Se vi piace giocare, semmai, stupitevi un po’ a riconoscere in “Natural History” certe trame sottili della “Subterranean Homesick Alien” dei Radiohead: è curioso, ma ci sono. La chiusura, poi, è davvero sontuosa. Prima “Magic Everywhere”, younghiana e romantica, il pezzo con le possibilità più alte di rimanervi in testa per qualche buon tempo. Poi la lisergica “Valley Of The Silver Moon”, lunghissima e lenta cavalcata finale nel cuore del West, sussurrata come e più di tutte le altre: un’esperienza tra veglia e sogno che porta su un terreno disseminato di memorie rarefatte e magiche ombre da sfiorare e lasciarsi dietro con rimpianto o quieta rassegnazione. (www.ondarock.it)
Rino De Cesare
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.


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