sabato 20 dicembre 2014

SANCTUARY - Non un capolavoro, ma un eccellente test di sopravvivenza!

SANCTUARY “The Year The Sun Died” (Century Media, 2014) - www.facebook.com/sanctuaryfans/timeline

Tracklist:
01.
Arise And Purify
02.
Let The Serpent Follow Me
03. Exitium (Anthem Of The Living)
04. Question Existence Fading
05. I Am Low
06.
Frozen
07. One Final Day (Sworn To Believe)
08. The World Is Wired
09. The Dying Age
10. Ad Vitam Aeternam
11.
The Year The Sun Died
12. Waiting For The Sun (The Doors cover, ltd. edition bonus track)

Cambia il nome sulla copertina, cambia qualche elemento in formazione, ma ciò non toglie che i rinati Sanctuary siano la logica conseguenza degli ultimi Nevermore e, solo in percentuale minore, la continuazione della band che aveva inciso, all’alba degli anni ’90, il fondamentale “Into The Mirror Black”. Superata quindi la legittima diffidenza provata di fronte a questa uscita quasi a sorpresa, rimane da valutare la qualità del suo contenuto. E qui va subito detto che a far la differenza saranno più le aspettative di chi ascolta piuttosto che il lavoro svolto dai musicisti. “The Year The Sun Died” è, nei fatti, un album solido, cupo, ben calibrato ma decisamente poco innovativo, il che è probabilmente il massimo che ci si potesse aspettare dalla rifondata band di Seattle. La qualità dei musicisti è, infatti, indiscutibile così come l’unicità artistica di un interprete come Warrel Dane, ma allo stesso tempo c’è da sgombrare il campo dalla possibilità che la proposta attuale possa raggiungere la grandezza e l’importanza storica, a dire il vero difficilmente avvicinabile da chiunque, delle migliori uscite targate Nevermore, o anche del già citato capolavoro dei Sanctuary. (www.metallus.it/recensioni/recensione-the-year-the-sun-died/)
Ma, anche conservando i tratti distintivi di entrambe le band, “The Year The Sun Died” compie un ulteriore passo in avanti, finendo per essere qualcosa di nuovo rispetto a tutte e due. Il disco è bellissimo, articolato, emozionante, pieno di pathos e denso, densissimo di cambi di tempo e di atmosfera ed appare dannatamente ispirato anche se un po’ difficile da assimilare. Per molti sarà molto più facile bollarlo come “clone” dei Nevermore senza averlo ascoltato, che riuscire davvero e coglierne la mutevolezza e le infinite sottigliezze di arrangiamento. Per chi invece non fosse affatto interessato a sapere chi siano stati, in passato, i Sanctuary o i Nevermore (diretta evoluzione dei primi) e vuole solo sapere che cosa lo aspetta premuto il tasto “play”, allora diremo che “The Year The Sun Died” è un disco di power/thrash metal evoluto, pesante e complesso, moderno ma al tempo stesso dotato di un feeling senza tempo, ricco di brani oscuri e malinconici, potente ed emozionante, che presenta composizioni di livello superiore per la quasi sua interezza e nessun vero punto debole. Da avere e da ascoltare spesso, per penetrarne la mutevole essenza, per quanto assolutamente non di semplice ed immediata fruizione. Ancora una volta, band stratosferica e di gran lunga superiore a molte altre attualmente in circolazione. Se poi questo lavoro sia meglio o peggio di “Into The Mirror Black” o di un qualsiasi altro album dei Nevermore, è giusto che sia il gusto individuale a dirlo. (www.metallized.it/recensione.php?id=10932)
A farsi apprezzare largamente è, comunque, tutto ciò che rientra sotto i punti definibili “tecnici”: ottima l’esecuzione, perfetta la produzione, ma anche le idee evidenziate nelle rifiniture e negli arrangiamenti, probabilmente ancora migliorate rispetto a quanto sentito nel corso degli ultimi anni con i Nevermore. Non dubitate quindi: pur senza far gridare al capolavoro, “The Year The Sun Died” resta un disco da acquistare ad occhi chiusi! (www.metallus.it/recensioni/recensione-the-year-the-sun-died/)

“RADI@zioni/N.R.G.” è un programma ideato da Camillo Fasulo e realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Gabriella Trastevere, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


sabato 6 dicembre 2014

TV ON THE RADIO: C’è ancora vita da questa parte del rock!

TV ON THE RADIO “Seeds” (Harvest, 2014) - www.tvontheradioband.com


Tracklist:
01.
Quartz
02. Careful You
03. Could You
04. Happy Idiot
05. Test Pilot
06. Love Stained
07.
Ride
08. Right Now
09.
Winter
10. Lazerray
11. Trouble
12. Seeds


Dopo la morte nel 2011 del bassista Gerard Smith, i TV On The Radio avrebbero potuto mollare tutto. “Potevamo chiuderla lì” ha detto a Billboard il cantante Tunde Adebimpe “ed essere felici di quel che avevamo combinato”. Oppure avrebbero potuto uscirsene con un disco cupo e pensoso. E invece rieccoli con il loro album più diretto e facile. Pop, persino! È un bel modo per riemergere dal limbo d’incertezza in cui stavano rischiando di affondare.
“Seeds” ci dice di una band di musicisti che celebrano il proprio legame con una festa, o qualcosa del genere. La sua forza catartica deriva dalla prospettiva positiva, dalle melodie cantabili, dal tono insolitamente luminoso. I musicisti si sono accostati alle registrazioni con cautela, una canzone alla volta, per vedere che cosa accadeva. Hanno scoperto che era possibile fare musica senza drammi e fantasmi. Che c’è ancora vita, da questa parte del rock. (www.rockol.it/recensione-5871/tv-on-the-radio-seeds)
Se dovessi spiegare a un alieno gli anni Zero utilizzando solo tre dischi, probabilmente uno sarebbe dei TV On The Radio perché, come e più di altri, rappresentano alla perfezione il decennio in cui i confini tra i generi sono stati abbattuti, l’indie è diventato mainstream e il pop inteso come grande macchina universale del consenso ha mutato forma e contenuto fino a riscrivere completamente quelle regole che il crollo dell’industria discografica aveva reso obsolete. I TV On The Radio nascono proprio da quel contesto, dalle macerie degli anni ’90, e sono emersi proprio grazie alla loro capacità innata di percorrere strade diverse, ma tutte contemporaneamente. Perché se solo l’idea di un gruppo indie rock composto per quattro quinti da afroamericani – un gruppo che nel primo EP piazzava addirittura una cover dei Pixies – poteva sembrare rivoluzionaria, lo era ancora di più la loro proposta musicale basata sul disorientamento: post punk, disco music, chitarre garage e voce soul. Un grande, bellissimo casino!
Dopo tre album di livello sopraffino e un quarto album passato ingiustamente inosservato, i TV On The Radio provano a riprendersi il centro della scena con “Seeds” che per la prima volta prova a cristallizzare il suono dei fino a renderlo quasi un cliché, come se si trattasse di un greatest hits di soli inediti. Peccato però che l’eccitazione e l’impeto giovanile abbiano lasciato spazio a un formalismo pop che li conferma impeccabili, ma purtroppo anche meno freschi, capaci di scrivere ancora grandi canzoni, ce ne sono anche qui, ma che inevitabilmente finiscono per sprofondare nel revival. Il revival di loro stessi. (www.rollingstone.it/recensioni/tv-on-the-radio-seeds/)

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