venerdì 25 marzo 2011

IRON AND WINE - “Kiss Each Other Clean” è un album molto meno ottimista di quel che sembra

IRON AND WINE “Kiss Each Other Clean” (4AD, 2011) – www.ironandwine.com 

Tracklist:
0
1. Walking far from home
02.
Me and Lazarus
03.
Tree by the river
04.
Monkeys uptown
05.
Half moon
06.
Rabbit will run
07.
Godless brother in love
08.
Big burned hand
09.
Glad man singing
10.
Your fake name is good enough for me

Finalmente torna in scena Samuel Beam uno tra i più amati e influenti nomi del panorama folk internazionale, che, con soli tre album all'attivo (cui si aggiungono una serie di raccolte e svariati Ep), nell'arco di oltre otto anni ha saputo conquistarsi ampi consensi di pubblico e critica, e che con la sua lunga barba è assurto un po' a simbolo di tutta una generazione di songwriter "barbuti". Giunto alla sua quarta prova, il trentaseienne cantautore statunitense si ritrova dunque investito di una grande responsabilità, dovendo confrontarsi con una passata produzione discografica di grande spessore e con aspettative (anche per questo) certamente altissime. Ma Sam è un uomo tutto d'un pezzo, che va dritto per la sua strada vivendo la musica per come la "sente", lasciando briglia sciolta alla sua creatività di artista senza farsi condizionare dai riverberi del successo, neanche quando quest'ultimo assume le sembianze di un fantasma "ingombrante" come "The Shepherd's Dog", il suo acclamatissimo terzo album. (http://www.ondarock.it/recensioni/2011_ironandwine.htm)
Sam Beam è diventato grande e per il suo quarto album in studio ha voluto fare le cose in grande, aspettando ben quattro anni prima di dare un seguito a “The Shepherd’s Dog”, disco che nel 2007 lo proiettò nell’olimpo della musica popolare americana. E così è uscito di casa (discografica, la Sub Pop che lo aveva scoperto e lanciato) come si conviene ad un adulto, è approdato alla 4AD ed ha infine arricchito il proprio suono grazie anche alla produzione di Brian Deck. Sono ormai lontani i tempi del menestrello tutto voce e chitarra. Oggi la proposta Iron & Wine è fatta di suoni che arrivano dai luoghi e dai tempi più disparati: ci sono i cori e le tastiere dei ’60s americani che si mescolano a programmazioni ed effetti sintetici (anche sulla voce), coloriture africane e pure parti di sassofono e basso wah-wah che riportano alla mente un certo funk ’70s style. Per cui ci si trova di fronte a un ottovolante di emozioni ed ispirazione dove picchi molto alti di poeticità (su tutti “Walking Far From Home” e “Rabbit Will Run”), nei quali più riconoscibile è il marchio di fabbrica di Iron & Wine, si alternano a momenti meno riusciti (“Monkeys Uptown”, “Big Burned Hand”) pur restando piacevoli. Insomma “Kiss Each Other Clean” è disco ambizioso che a volte non colpisce nel centro il bersaglio prefissatosi, eppure è sempre un piacere ascoltare quanto uscito dalla penna di Sam Beam. (http://www.indieforbunnies.com/2011/01/26/iron-wine-kiss-each-other-clean/)
Sam, insomma, si rifà vivo, dopo quattro anni, in punta di piedi, com’è nel suo carattere. Con passi felpati come le ciocche della sua barba. Come se niente fosse e niente fosse cambiato, soprattutto. Mentre per gli altri, per chi lo ascolta da un po’, il tempo passa e le cose cambiano, invece. Perché nel frattempo c’è stata quella canzone, bellissima a dispetto di ogni altra estranea considerazione, “Flightless Bird, American Mouth”, suonata nel filmetto vampiresco “Twilight” (la famosa scena del ballo, le vostre amiche e fidanzate lo sanno), grazie alla quale uno stuolo di adolescenti ha cominciato a prendere confidenza con il genio timido di questo fratello molto più grande e così poco glamour, nascosto dietro uno spiovente sipario di barba e capelli. Poi c’è stato il cambio di etichetta e adesso questo “Kiss Each Other Clean” che vuol dire più o meno “baciamoci fino a scomparire”. Una dichiarazione d’amore, o meglio di dis-amore universale nei confronti di un mondo che l’unico amore che riesce a concepire è quello per i soldi: il sesso, la ruffianeria, il tempo, il salario, merci di scambio in questa sconcia pornocrazia su scala occidentale che ogni giorno si arricchisce di nuove nefandezze e che in Italia, purtroppo, conosciamo fin troppo bene. Dietro il suono apparentemente morbido, pacioso e solare, “Kiss Each Other Clean” è un album molto più complesso e sfaccettato, e molto meno ottimista di quel che sembra ad un primo distratto ascolto. (http://www.storiadellamusica.it/Iron_and_Wine_-_Kiss_Each_Other_Clean_(4AD,_2011).p0-r3698)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.


domenica 20 marzo 2011

R.E.M. grandi artigiani della canzone!

R.E.M. “Collapse Into Now” (Warner, 2011) - www.remhq.com

Tracklist:
1. Discoverer
2. All The Best
3. Überlin
4. Oh My Heart
5. It Happened Today (feat. Eddie Vedder)
6. Every Day Is Yours To Win
7. Mine Smell Like Honey
8. Walk It Back
9. Alligator Aviator Autopilot Antimatter (feat. Peaches)
10. That Someone Is You
11. Me, Marlon Brando, Marlon Brando and I
12. Blue (feat. Patti Smith)

Ogni volta che esce un nuovo disco dei R.E.M., “Collapse Into Now” pubblicato lo scorso 8 marzo è il loro 15° lavoro in studio, continuiamo ad avere aspettative e curiosità elevatissime nonostante, in cuor nostro, abiti la consapevolezza di non poter ricevere più le scosse al cuore avute coi primi dischi su IRS e nemmeno quelle ricevute ai tempi del passaggio alla Warner con la strepitosa triade “Green”, “Out of Time”, “Automatic For The People” e con il successivo ed energico “Monster”. In effetti quella tetralogia, uscita tra fine anni ‘80 e metà anni ‘90, è da molti considerata come il loro canto del cigno e dopo “Around The Sun” del 2004 qualcuno aveva anche immaginato che il gruppo avesse preso in considerazione lo scioglimento, pensando che fosse una sorta di azione dovuta ai devoti della loro storia. Quel disco, così stanco, sembrava il preludio alla fine ed invece, a ben guardare, non era che la fine di una fase. Due anni più tardi “Accelerate” era lì per confermarlo, con un lavoro di musica rock pura e diretta con forse il piccolo difetto di non mettere sufficientemente in luce le doti compositive di cui Buck, Mills e Stipe sono capaci. Se, a detta di molti, in “Accelerate” a mancare erano soprattutto le canzoni, ecco che “Collapse Into Now” rimette davvero tutto a posto, con una qualità davvero al livello dei tempi migliori. (www.fardrock.wordpress.com)
Ciononostante “Collapse Into Now” sta dividendo la critica per il suo saper troppo di già sentito, ma parliamoci chiaro: se ci mettiamo a discutere i R.E.M. perché fanno un disco alla R.E.M., allora lasciamo perdere col rock per quest'anno. "UBerlin" sarebbe stata la miglior canzone di “Around the Sun”, così come le stesse "Every Day Is Yours to Win" e "Walk It Back" avrebbero potuto rendere quell'album degno della gloriosa sigla R.E.M.; "Oh My Heart" è un clamoroso ibrido fra “Reveal” (ricordate "Disappear"?) e “Accelerate” (con tanto di citazione di "Houston"), ed è già lì, nella tracklist del prossimo best of. "Alligator Aviator Autopilot Antimatter" sembra uscita direttamente da “New Adventures in Hi-Fi” mentre la splendida "Me, Marlon Brando, Marlon Brando and I", in cui ricompare addirittura il leggendario mandolino, rimanda a pezzi come "You Are the Everything" (da “Green”, il primo per la Warner datato 1988) e "Swan Swan H", dall'ancor più lontano “Lifes Rich Pageant”. Cosa c'è di male in tutto questo? Fossero pezzi deboli che stonano accostati al resto della discografia potremmo essere d'accordo con chi non è soddisfatto: ci sono almeno tre highlights da raccolta ("Discoverer", "UBerlin" e "Oh My Heart"), gli altri non solo non sfigurano, anzi, vedono un Michael Stipe pienamente al passo coi tempi nei temi affrontati, ancora vibrante di passione e soprattutto credibile, con un contorno sonoro come di consueto funzionale alla melodia vocale, vale a dire ciò che conta in una canzone pop. Forse potrà sembrare esagerata come proporzione, ma a chi non piace “Collapse Into Now”, in realtà non piacciono veramente i R.E.M.! (www.panopticonmag.com)
Se volessimo riassumere l’ultima fatica dei tre signori di Athens in due concetti secchi, potremmo dire che è il lavoro più vario del gruppo da quindici anni a questa parte e che oggi i R.E.M. non sono niente di più e niente di meno che dei grandi artigiani della canzone… Hanno già passato il climax della loro storia, i loro capolavori li hanno già prodotti e a quei livelli non torneranno mai più, né gli si può chiedere di farlo. Però questa volta il gioco gli riesce bene, eccome se gli riesce bene! Ce ne fossero di band con la classe e la grazia dei R.E.M., che riescono a tirar fuori un album come “Collapse into now” dopo 30 anni di carriera. (www.rockol.it)
(Rino De Cesare)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.



sabato 12 marzo 2011

HERCULES AND LOVE AFFAIR - "electro-pop" or "melodic house"?

HERCULES AND LOVE AFFAIR “Blue Songs” (2011)
Tanto per mescolare le carte come ben sappiamo fare quando siamo a caccia di ascolti, questa volta ci occuperemo di electro-pop, ma di buon electro-pop! Ecco qua il 2° lavoro degli Hercules And Love Affair, inglesi… forse più che di pop dovremmo parlare di House melodica…
Si sa che dar seguito ad un primo buon lavoro è sempre difficile di questi tempi… ebbene, Hercules And Love Affair per provarci rivoluzionano ½ formazione e tentano di impreziosire il proprio sound rendendolo più fresco e allo stesso tempo ribollente… il risultato, è facile intuirlo, fa zompettare al suono della più orecchiabile house attualmente in circolazione fin dal primo brano e per rendere la propria proposta ancor più bizzarra ti piazzano qua e là perfino qualche intrigante ballata semiacustica…
Per chiudere vi giro un caloroso consiglio finale: disco da ascoltare più volte e ad alto volume… (Carmine Tateo)


venerdì 11 marzo 2011

PJ HARVEY non ripete!

PJ HARVEY “Let England Shake” (Island, 2011) - www.pjharvey.net

Tracklist:
1. Let England Shake
2. The Last Living Rose
3. The Glorious Land
4. The Words That Maketh Murder
5. All & Everyone
6. On Battleship Hill
7. England
8. In The Dark Places
9. Bitter Branches
10. Hanging In The Wire
11. Written On The Forehead
12. The Colour Of The Earth

Da sempre PJ Harvey non manca un’occasione per ribadire quanto l’obiettivo principale di un vero artista sia non ripetersi e disattendere le aspettative del proprio pubblico. Negli ultimi anni questo modo di fare ha finito quasi per cronicizzarsi, tanto che ogni suo nuovo disco finisce per rendere nulla ogni previsione e inutile ogni accostamento a precedenti episodi della carriera dell’artista, incentrata com’è sulla ricerca di territori inesplorati e sul perfezionismo stilistico. Per “Let England Shake”, registrato in una chiesa del XIX secolo nel Dorset, Polly ha lavorato costantemente per oltre tre anni, impegnando inizialmente le sue forze sull’arte della parola e sulla poesia come contenitore d’eccezione per la sua creatività. Tutti i testi di questo album sono stati infatti concepiti come poemi che la trasposizione in musica ha spesso lievemente rimaneggiato, nati dall’urgenza di descrivere realtà e stati d’animo legati alla dimensione sociale, politica della storia presente e passata. A scanso di equivoci: l’aggettivo “politico” non deve far pensare a un’ottica di parte, a uno sguardo dogmatico sulla realtà o a un ritrovato attivismo dell’artista, ma alla descrizione attraverso la parola poetica di sentimenti il più possibile condivisi, universali, come l’ambiguo coesistere di odio e amore per la propria patria (www.indie-eye.it).
Con “Let England Shake” PJ Harvey realizza comunque una sintesi mirabile dei suoi due predecessori: la classicità spiritistica e vittoriana di “White Chalk” filtra per osmosi fra gli spigoli dissonanti e le sonorità promiscue di “A Woman A Man Walked By”. Fondamentale, nel dare continuità, il contributo di John Parish: lì co-autore, qui co-produttore, oltreché musicista in una formazione volutamente ridotta all’essenziale che comprende l’ex Bad Seeds Mick Harvey e il batterista Jean-Marc Butty. Un disco diretto e memorabile nel complesso, questo “Let England Shake”. PJ, in stato di grazia, sa variare registri armonici e vocali con disinvolta eccentricità, scrive canzoni che non sembrano più tali – eppure lo sono – e regala scorci sonici di una bellezza cupa e brumosa. Sa mescolare con maestria: epica, elegia e straniamento (www.storiadellamusica.it).
In maniera molto intelligente si evita di cadere nel cliché del disco cantautorale per chitarra e ritmiche lente e banali; al contrario, affida le sue liriche a un’ampia varietà di registri musicali diversi. Se infatti in “Hanging In The Wire” e in “England” rivivono le atmosfere acustiche di “White Chalk”, la nuova verve politica si presenta in maniera sanguigna in “The Last Living Rose”, dove la cantante propone un inedito assolo di sax, nelle chitarre di “Bitter Branches” o nel primo “nick-cave-ianissimo” singolo, “The Words That Maketh Murder”, tra ritmo trascinante e liriche d’effetto. L’ascolto prosegue verso l’ansiogena “The Glorious Land”, corredata da adunate militaresche e un cantato straziante, le reminescenze folk di “On Battleship Hill” e “In The Dark Places”, in cui sembra di sentire, lontana, la PJ di quel discone chiamato “To Bring You My Love”. E se dovesse mancare una conferma della qualità del pacchetto, la tripletta finale non può che incoraggiare la valutazione: “Hanging In The Wire” e “Written On The Forehead” si susseguono in maniera impeccabile, sfociando nella malinconia di “The Colour Of The Earth”. Ci piaceva la PJ rock, c’è piaciuta la PJ acustica e ci piace la PJ impegnata politicamente. Assicuratevi di ascoltare questo disco, difficilmente ne usciranno di così belli nel corso del 2011 (www.indieforbunnies.it).
(Rino De Cesare)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.



MILKY WIMPSHAKE = punk-folk/indie-pop dal Regno Unito

MILKY WIMPSHAKE “My Funny Social Crime” (2010)
Gruppo di nicchia questi Milky Wimpshake che nello loro madrepatria riscuotono un discreto successo. Vengono da Newcastle, Regno Unito, e considerati insurrezionalisti del twee-pop incidono un cd che è una giusta miscela tra Buzzcocks e Housemartins. Capaci di azzeccare le giuste melodie la band si esprime con testi polemici e graffianti lasciando, specie da vivo, un’ottima impressione. La formula usata da questi ragazzi è semplice ed efficace. Basso, chitarra, batteria e una voce che con fare sgraziato e lascivo sostiene melodicamente i vari episodi… un buon motivo per non negare un ascolto alla proposta dei Milky Wimpshake, no? (Carmine Tateo)

domenica 6 marzo 2011

THE TWILIGHT SINGERS: un disco "imperfetto" ma Greg Dulli è tornato con la sua musica migliore!

TWILIGHT SINGERS “Dynamite Steps” (Sub Pop, 2011) – www.thetwilightsingers.com

Tracklist:
Last night in town
Be invited
Waves
Get lucky
On the corner
Gunshots
She was stolen
Blackbird and the fox
Never seen no devil
The beginning of the end
Dynamite steps

Dopo il successo di due anni fa avuto con l’album “Saturnalia” del progetto Gutter Twins con il fratello di sangue Mark Lanegan, Greg Dulli ritorna con “Dynamite Steps” un po’ sulla strada già percorsa dal precedente lavoro a nome Twilight Singers – quel “Powder Burns” del 2006 – esplorando quella sottile linea tra la vita e la morte, quel rapido momento in cui l’esistenza ti passa davanti agli occhi, dilatato e messo a fuoco nel il corso delle 11 tracce che lo compongono (http://www.indie-eye.it/recensore/news/twilight-singers-dynamite-steps-il-nuovo-album.html).
“Powder Burns” fu forse, però, il disco meno fortunato della carriera post-Afghan Whigs di Greg Dulli. A quello seguì un bell’e.p., “Stitch in time” (con una spettacolare cover di un pezzo dei Massive Attack, “Live with me”) e poi molte altre cose, tra cui il progetto Gutter Twins, un disco live ed un tour da solista. Insomma, non è mancato dalle scene, in questi anni, Greg Dulli. Ma è una buona notizia il fatto che abbia deciso di rispolverare la sua sigla preferita, e che quindi sia tornato a fare la sua musica migliore. “Dynamite Steps” riporta i Twilight Singers ai livelli dei primi dischi, mostrando quello che Dulli sa fare in termini di songwriting e costruzione delle canzoni. La formula sostanzialmente non è cambiata, rispetto al passato: canzoni che prendono dal rock e dalla black music, costruite con strutture a progressione geometrica e crescendo come solo Dulli sa montare. Il limite è sempre un po’ lo stesso rispetto agli Afghan Whigs (che rimangono una delle band più sottovalutate del rock degli anni ’90), ovvero l’assenza delle chitarre di Rick McCollum, con il loro inconfondibile sound. Dulli, con la sua band, ha trovato un modo per sostituirle con piano, sezione ritmica e anche chitarre, sì, ma più defilate. A fare la differenza, non è tanto la presenza di grandi ospiti (Ani Di Franco, l'ex Verve Nick McCabe e ovviamente Mark Lanegan tra gli altri) quanto piuttosto le canzoni, cantate con quella voce imperfetta e un po’ spezzata che però è assolutamente unica. “Dynamite Steps” è un disco che difficilmente porterà nuovi fans alla band: quell’occasione, soprattutto dalle nostre parti, c’è stata con l’ultimo disco, che arrivava dopo la collaborazione con Manuel Agnelli e gli Afterhours (“My time has come” era la rielaborazione di “Vedova bianca”, da “Ballate per piccole iene”, disco prodotto proprio da Dulli). Però è un disco che affascina, con i suoi toni “noir”. Se vi sono piaciuti in passato, questa volta vi piaceranno ancora di più (Gianni Sibilla da http://www.rockol.it/recensione-4517/Twilight-Singers-DYNAMITE-STEPS).
Star dietro a Greg Dulli non è facile. Come il suo amico Lanegan salta da una parte all'altra, impegnandosi in carriera solista e progetti vari senza aver mai fissa dimora, senza prendere identità permanenti, lontano da quello che era il suo essere leader dei sempre troppo poco ricordati Afghan Whigs. "Dynamite Steps" sembra quindi confermare che i “canterini del tramonto” siano il gruppo in cui Dulli riponga le maggiori speranze e impegni per quello che sarà l'immediato futuro della sua carriera. La differenza maggiore tra questo album e il suo predecessore è che, a dispetto del titolo, si presenta molto meno aggressivo; la perdizione malignamente sensuale di "Be Invited", il crescendo emotivo di "Get Lucky", il respiro arioso di "She Was Stolen" e l'intensità interpretativa della murder ballad folk-blues "Never See No Devil" conferiscono all'insieme un'atmosfera introspettiva e quasi spirituale che si distanzia molto dalle dinamiche di "Powder Burns". Queste sensazioni si ritrovano poi anche negli episodi più vicini al sound "solito" del gruppo; gli archi e i cori delle cavalcate di "Last Night In Town" e "On The Corner", le morbidezze shoegaze di "The Beginning Of The End", persino l'epicità dello stoner "Waves" ci parlano di una rabbia che si è placata o in qualche modo trasformata, ma forse anche di un Greg Dulli che ha trovato una stabilità artistica come forse non aveva più avuto dalla fine del gruppo che creò "Congregation" e "Gentlemen". "Dynamite Steps" è quindi un disco imperfetto ma ci restituisce un Greg Dulli in splendida forma, con nuovo vigore e rinnovata ispirazione che, dopo tanto girovagare, forse, ha finalmente trovato casa. (http://www.ondarock.it/recensioni/2011_twilightsingers.htm)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Fernando Falcolini, Angelo Olive e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.

DISCLAIMER

1) Questo blog, a carattere puramente amatoriale, non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità, in base alla disponibilità del materiale inviatomi e/o auto-fornito.

2) Questo blog non ha richiesto contributi pubblici e non ha fini di lucro. Pertanto, non può essere considerato, in alcun modo, un prodotto editoriale
ai sensi della legge 07.03.2001, n. 62.
Ad oggi questo blog non presenta alcuna sponsorizzazione o affiliazione pubblicitaria, dunque al momento è da ritenersi un’opera totalmente no profit.

3)Copyright:
Alcune delle immagini contenute in questo blog sono prese in buona fede dal web. Se tuttavia dovessero sorgere dei problemi di carattere "autorizzativo" è sufficiente comunicarlo e tali immagini saranno rimosse.
E’ permesso citare parti tratte dal blog esclusivamente a condizione che si riporti un link con scritto:
Tratto da: www.camillofasulo.blogspot.com (con link attivo, cioè cliccabile alla pagina/foto).
Se contenuti o immagini violano diritti di terze parti saranno immediatamente rimossi dopo segnalazione.
Tutti i contenuti sono originali, salvo i casi in cui è espressamente indicata altra fonte.

4) Responsabilità:

Data la natura esclusivamente amatoriale del sito, non vi è alcuna forma di garanzia sull’esattezza e la completezza delle informazioni riportate, tuttavia si cercherà sempre di verificare i fatti riportati e si resta a completa disposizione per correzioni e rettifiche.

Potrà essere richiesta la rimozione totale o parziale del materiale ritenuto inappropriato e/o una eventuale rettifica inviando una e-mail a cfasulo@libero.it oppure a radiazioni@ciccioriccio.it.

Tutto il materiale presente nel blog (testi e immagini) è pubblicato a solo scopo divulgativo, senza fini di lucro (lo conferma la mancanza di link-pubblicità commerciale).

5) Queste condizioni sono soggette a modifica, senza alcuna forma ben definita di preavviso, vi invitiamo dunque a verificarne i contenuti con una certa frequenza.