sabato 29 settembre 2012

BARONESS: con "Yellow & Green" oltrepassano i confini e le definizioni del metal

BARONESS “Yellow And Green” (Relapse, 2012) – www.baronessmusic.com

Tracklist:
Disc 1
1. Yellow Theme
2. Take My Bones Away (ascolta: http://youtu.be/4V0N1x675FQ)
3.
March to the Sea
4.
Little Things (ascolta: http://youtu.be/T5HxhQMi5RI)
5. Twinkler
6. Cocainium
7. Back Where I Belong
8. Sea Lungs
9. Eula
Disc 2
1 Green Theme
2 Board Up the House (ascolta: http://youtu.be/WsWki9gwaQ0)
3 Mtns. (The Crown & Anchor)
4 Foolsong
5 Collapse
6 Psalms Alive
7 Stretchmarker (ascolta: http://youtu.be/wWsMwW0WARY)
8 The Line Between
9 If I Forget Thee, Lowcountry

Molti si staranno chiedendo il perché di un doppio album. Forse qualche canzone in meno avrebbe giovato all'economia del nuovo lavoro degli americani Baroness, ma la band ha avuto il coraggio di mostrare ugualmente al mondo i due lati conflittuali della propria anima: così, se “Yellow” ci mostra il loro volto più “in your face”, “Green” ci indica la via dell'intimismo e dell'introspezione. L'unico elemento che in casa dei nostri sembra rimanere costante è l'utilizzo di un titolo che prende il nome di uno o più colori senza però con questo, a detta della band, voler a tutti i costi celare un particolare significato, ma solo al fine di creare titoli semplici e diretti, proprio come i brani che sono entrati a far parte di questo nuovo album, nati in modo molto semplice e rivestiti pian piano di quell'alone progressive che ha da sempre accompagnato la band. (http://www.metallized.it/recensione.php?id=7427)
Spiazzante! Così si potrebbe bollare il nuovo mastodontico (per lo meno in termini di minutaggio) doppio album dei Baroness. Se con quel piccolo miracolo che fu il “Red Album” avevano stupito un po’ tutti e con il successivo “Blu Album” avevano amplificato le influenze 70’s sia a livello musicale che a livello di suoni, con il nuovo lavoro, “Yellow & Green”, rappresentato di fatto da due parti ben distinte, stanno già facendo molto parlare di sé, nel bene e nel male.
Ad un primo ascolto si intuisce subito che tutto è diventato più acido e diretto, la maggior parte dei brani infatti ha una struttura semplice e abbastanza lineare. Così mentre “Take My Bones Away” rispolvera un certo stoner di kyussiana memoria in maniera forse un po’ banale, la successiva “March to the Sea” risulta un ibrido tra hard rock e bluegrass. Da segnalare ancora brani più pesanti come “Eula” con numerosi inserti di synth e tastiere, le più tirate“Sea Lungs” e “Little Things” che ricordano addirittura certi Thin Lizzy. Sono però le canzoni più atipiche quelle che convincono maggiormente: tra i pezzi migliori risultano infatti la strumentale “Stretchmarker”, “Twinkler” sorta di ballata corale sospesa tra voci e sintetizzatori dal pieno sapore anni ’60 e la successiva e psichedelica “Cocainium”. Sembra infatti che un certo tipo di acid folk abbia macchiato il sound della band fino a renderlo talmente irriconoscibile da risultare, come si diceva prima, spiazzante. Detto questo, il modo migliore per avvicinarsi a “Yellow & Green” è lasciare da parte ogni legame riguardante i due precedenti dischi, pena la delusione più completa. Questo è un disco difficile, strano, spesso confuso e a volte irritante ma coraggioso, che brilla di luce propria. Sarà interessante vedere come in futuro la band di Savannah evolverà e perfezionerà le mille sfaccettature di questo lavoro, ma ora come ora il consiglio è quello di non snobbare o sottovalutate questo album perché potreste innamorarvene … oppure fuggire a gambe levate! (http://www.impattosonoro.it/2012/08/21/recensioni/baroness-yellow-and-green/)
Se mi è permesso il paragone, la mia memoria corre alla trilogia dei film “colorati” del regista polacco Krzysztof Kieslowski, ovvero alla creazione di un trittico - i film “Blue”, “Bianco” e “Rosso” - in cui ogni elemento, pur nella sua indipendenza, visto in una prospettiva d’insieme, contribuiva alla creazione di un concetto globale di cinema. Ecco, mi pare che la trilogia dei colori dei Baroness che, dopo il “Red Album” e il “Blue Album”, oggi ritornano con “Yellow & Green”, porti allo stesso modo a compimento un’opera ben più ambiziosa e strabiliante dei singoli episodi che ne fanno parte. Lo dico subito, evitando fraintendimenti, questo è il disco meno hardcore del gruppo di Savannah e, anzi, è il disco che probabilmente allontana definitivamente i Baroness dal contesto più estremo, aprendo la strada al global metal, ovvero ad un moderno metal, contemporaneo, ispirato e soprattutto dinamico.
I Baroness sono oggi quello che i Mastodon non sono riusciti a diventare: una band che oltrepassa i confini e le definizioni. (http://www.sentireascoltare.com/recensione/10413/baroness-yellow-green.html)
Non abbiate paura ad avvicinarvi a questo “Yellow And Green”: aprite la vostra mente ed ascoltatelo fino a farlo entrare in circolo dentro di voi, solo così riuscirete ad entrare in sintonia con questa eccezionale band che, è vero, non ha ancora messo perfettamente a fuoco alcune cosette, ma che sicuramente ha dimostrato di sapersi rimettere in gioco. È per tutti questi motivi che ho deciso di premiare il coraggio dei Baroness, sperando che questo li porti a scrivere in futuro il loro capolavoro definitivo! (http://www.metallized.it/recensione.php?id=7427)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


LIARS: "WIXIW" - disco della maturità o album di transizione?

RADI@zioni / Disco Hot N° 18:
LIARS “WIXIW” (2012)

Dopo dieci anni di attività era lecito chiedere ai Liars almeno una ridefinizione del loro suono fatto di tribalismi, cantilene, goliardia e caos elettrico… ebbene, con questo nuovo lavoro dal palindromico titolo “WIXIW” (ma pronunciatelo “Wish You”!), siamo stati accontentati. 
“WIXIW” è, per la precisione, il 6° album per i Liars. È stato generato in un non luogo, fuori dal delirio urbano e conferma la volontà di modificare il proprio sound ma senza alterarne la sostanza. I suoni si sono fatti meno nervosi e più pop, come se il loro armamentario armonico avesse subìto un improvviso trattamento. Resta ora da capire se “Wish You” possa essere considerato il disco della maturità o semplicemente un album di transizione… A voi l’ardua sentenza!
(Carmine Tateo)

Tracce consigliate:
N. 1 AGAINST THE RUSH (ascolta: http://www.youtube.com/watch?v=ggR6RuBh8I0)
WHO IS THE HUNTER (ascolta: http://www.youtube.com/watch?v=SriJzEKEIQ0)


mercoledì 19 settembre 2012

dEUS: meno oscuri e più d'impatto rispetto al precedente album

RADI@zioni / Disco Hot N° 17:
dEUS “Following Sea” (2012)

Ci avevano abituati a lasciar passare almeno tre anni tra un disco e l’altro. Ma quando lo scorso 1° giugno la band belga ha reso disponibile senza alcun preavviso il proprio nuovo album l’effetto sorpresa è stato grande! Giunti al loro 7° capitolo discografico i dEUS rilasciano un lavoro meno oscuro rispetto al precedente e più d’impatto.
10 ottime intuizioni con dei picchi d’eccellenza che ne fanno una delle migliori uscite del 2012,senza alcun dubbio. Fra rock & pop il gruppo è ormai una delle realtà musicali più importanti della scena “indie” di questi ultimi anni. “Following Sea” è il disco che fa riscoprire il piacere di riascoltarli e getta nuova luce sulla loro discografia.
(Carmine Tateo)

Tracce consigliate:
QUATRE MAINS (ascolta: http://youtu.be/WsFfHdqNOWI)
GIRLS KEEP DRINKING (ascolta: http://youtu.be/20Sc4o4coqk)
ONE THING ABOUT WAVES

ULVER: Il fascino arcano del "ritorno al futuro"!

ULVER “Childhood’s End” (K-Scope, 2012) - www.kscopemusic.com/ulver/childhoodsend

Tracklist:
01. Bracelets of Fingers (The Pretty Things)
02.
Everybody’s Been Burned (Byrds)
03. The Trap (Bonniwell’s Music Machine)
04. In the Past (Chocolate Watchband)
05. Today (Jefferson Airplane)
06. Can You Travel in the Dark Alone (Gandalf)
07.
I Had Too Much to Dream Last Night (Electric Prunes) (ASCOLTA! http://youtu.be/6JKJEhgOJ0E)
08. Street Song (13th Floor Elevators)
09. 66-5-4-3-2-1 (Troggs)
10. Dark is the Bark (Left Banke)
11. Magic Hollow (Beau Brummels) (ASCOLTA! http://youtu.be/8MUzBJRWB64)
12. Soon There Will Be Thunder (Common People)
13. Velvet Sunsets (Music Emporium) (ASCOLTA! http://youtu.be/k9HMsQ6_myQ)
14. Lament of the Astral Cowboy (Curt Boettcher)
15. I Can See the Light (Les Fleur De Lys)
16. Where is Yesterday (United States Of America) (ASCOLTA! http://youtu.be/I51bw3KfSvo)

Nono disco “maggiore” della carriera degli Ulver, “Childhood's End” è il coronamento di un progetto che solleticava il gruppo norvegese almeno fin dai tempi di “Shadows of the Sun” (2007). In quel disco faceva difatti bella mostra di sé una rivisitazione di uno storico “lento” dei Black Sabbath: “Solitude”. Vista l'eccellente riuscita, si era successivamente giocato con l'idea di approfondire il discorso-cover, senza però mai concretizzarlo, almeno fino ad ora. “Childhood's End” è composto da 16 pezzi presi di peso dall'era psichedelica (quasi tutto il materiale è databile tra il 1966 e il 1969) e immersi in quel mondo di sfumature oscure, velate e malinconiche di cui gli Ulver sono alfieri – seppur in diverse forme – praticamente da sempre. Poche le concessioni fatte ai pesi massimi del settore: i Jefferson Airplane, i Byrds, gli United States of America e i 13th Floor Elevators sono pressoché gli unici nomi universalmente noti anche ai non appassionati, mentre il resto del materiale è pescato da singoli od album di artisti più o meno oscuri di quella fertile epoca (http://www.rockline.it/recensione/ulver/childhoods-end).
Agli Ulver abbiamo visto così tante volte cambiar pelle, che è divenuto ormai quasi impossibile cogliere le loro sembianze primigenie, i loro tratti somatici originari tipicamente black metal. E forse risiede proprio in questa identità sfuggente, il loro fascino arcano. Abbiamo ascoltato la loro musica ibridarsi con l’elettronica più sperimentale, con il trip-hop, con l’ambient mistico, con il folk acustico, con il metal tecnocratico, con il progressive atmosferico. Li abbiamo visti perseguire evoluzioni talmente drastiche da non poterle ritenere possibili nell’unico percorso di vita di una band. Così, questo spirito mai pago di soluzioni definitive, li spinge oggi a realizzare un album che include le cover di quelle canzoni che, nella seconda metà degli Anni ’60, hanno contribuito a far divampare quel furore psichedelico che poi avrebbe incendiato, con esiti dissimili e lungo traiettorie differenti, l’intero arco dei ’70. Ma non aspettatevi avanguardie sonore o trasfigurazioni elettroniche in “Childhood’s End”. Qui tutto rende tributo allo spirito dei ’60s! Ma non crediate di trovarvi davanti ad un semplice album di cover tirato fuori giusto per riempire l’attesa che precede la realizzazione di un nuovo lavoro in studio e neppure un lavoro fatto di semplici suggestioni. Questa è davvero una cronaca in diretta di quanto accaduto oltre quattro decenni orsono. Una narrazione fatta con la voglia di stupirsi. Di stupirsi e di stupire. Ecco cos’è “Childhood’s End”! (http://www.storiadellamusica.it/classic_rock-psichedelia-wave/psychedelic_rock/ulver-childhood_s_end(kscope-2012).html).
A livello prettamente musicale l’attuale entità Ulver, fatta di incanti elettronici, paesaggi ambient e richiami trip-hop, fa un passo indietro, lasciando respirare i brani nel loro analogico habitat naturale, genuinamente vintage. Pur scevra da sperimentalismi, la “ulverizzazione” spinge al massimo l’espressività e l’evocatività già insite in queste composizioni, come nelle due stupende ballads “Velvet Sunsets” (Music Emporium) e “Magic Hollow” (Beau Brummels), primo singolo estratto, di cui è stato girato anche un bel video. Altre interpretazioni degne di nota, agevolate per altro dall’eccellenza del materiale originario selezionato, sono “I Had Too Much To Dream Last Night” (Electric Prunes) e “Where Is Yesterday” (United States Of America). Come sempre curatissima ed eccellente la produzione, che riesce a suonare moderna, nel suo essere cristallina e a tutto tondo, ma contemporaneamente vintage, soprattutto riguardo la scelta di suoni, effetti e mixing degli strumenti, che offre grande spazio alla splendida voce di Kristoffer Rygg, perfettamente a suo agio, anche su queste composizioni, ben più vecchie di lui (http://www.outsidersmusica.it/recensione/Musica/ulver-childhoods-end/).
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


sabato 8 settembre 2012

RUSH - L’orologio alchemico batte le 21 e 12... aprite il cuore al cantico degli Angeli Meccanici!

RUSH “Clockwork Angels” (Roadrunner, 2012) - www.rush.com

Tracklist:
01.
Caravan (video: http://youtu.be/EfOTSQED1GY)
02.
BU2B
03. Clockwork Angels
04. The Anarchist
05. Carnies (video: http://youtu.be/v1tVdpzAtNc)
06. Halo Effect
07. Seven Cities of Gold
08. The Wreckers
09. Headlong Flight (video: http://youtu.be/RG_MnbtmlTo)
10.
BU2B2
11.
Wish Them Well
12.
The Garden (video: http://youtu.be/EXYDLMJbM0A
)

Un giovane uomo che insegue i propri sogni, combatte per essi contro tutto e tutti, ne passa di ogni colore, incontra anarchici, pirati, alchimisti, s'imbatte in carnevali esotici, si diverte pure, però deve sempre tenere d'occhio un tizio, un orologiaio che gli scandisce inesorabilmente il tempo. I Rush hanno voluto creare un affresco classicamente apocalittico ri-aggiornando, di fatto, la teoria dell'individuo alle prese con le proprie aspirazioni - tematiche che hanno reso popolari e piuttosto controversi i testi del batterista/scrittore Neil Peart.
Un concept album: materia rischiosa, obsoleta, polverosa, faticosa, che comunque vada regalerà grandi soddisfazioni ai suoi autori. Un album che riporta il trio canadese dalle parti di dove tutto ebbe inizio: "2112", la space story che li rese celebri quasi quarant'anni fa, quando l'hard rock zeppeliniano decise di legarsi sempre più con gli ultimi spasmi di un prog di stampo yessiano, dando così il “La” a un genere. E oggi? Oggi Lee, Lifeson e Peart si sentono forti, decisi, ispirati, impegnati, energici, si sentono giovani & furiosi (come ha tenuto a sottolineare il biondo chitarrista in una recente intervista) (http://www.ondarock.it/recensioni/2012_rush_clockworkangels.htm).
Alex Lifeson, rispetto al precedente “Snakes And Arrows” (2007), abbandona la chitarra acustica e riprende l’elettrica buttando giù riff su riff. Il suo modo di suonare tributa se stesso e tutta la produzione Rush passando per momenti hendrixiani o jazzati. Geddy Lee è sempre Geddy Lee. Ulula come suo solito. Il basso – che ve lo dico a fare? – è da sogno. Sferraglia clamoroso con le ritmiche che solo lui sa creare; forse è meno pulito rispetto al passato ma, adeguandosi al tiro del sound attuale, è in grado di sbandierare groove da tutti i pori. Neil Peart, ancora una volta, vince. “The Professor”, alla sua veneranda età, è tuttora in grado di reinventarsi, mettersi in gioco, stupire (http://www.outune.net/dischi/top-records/rush-clockwork-angels/58124).
E allora? "Clockwork Angels", dopo una gestazione decisamente lunga, lascia da parte ogni remora e scaraventa sull'ascoltatore una potenza sonora che da queste parti forse non si era mai udita, a questi livelli. Niente di assordante, intendiamoci, ma è come se i tre ex-ragazzi avessero avuto voglia di premere sull'acceleratore, ben consci di essere dei maestri assoluti nel controllo della vettura, nel disegno delle curve, nel cambio di marcia inudibile e pure perfettamente sincronizzato, nonché foriero di ulteriori sorprese (http://www.ondarock.it/recensioni/2012_rush_clockworkangels.htm).
Poche storie, questo è il disco dei Rush più pesante da parecchio tempo a questa parte. I singoli “Caravan” e “BU2B”, usciti ormai un anno fa, sono un ottimo esempio della potenza rock del disco. Anche “Headlong Flight”, il nuovo singolo, è un altro sasso: tributa pure il classico “Bastille Day” e continua a picchiare per più di 7 minuti, crescendo fino al delirio di Peart nella parte finale. Pochi i momenti più melodici, ma spiccano “The Wreckers” (che mischia sonorità anni ’60 alle melodie più pop dei Rush della seconda metà degli anni ’80) e la conclusiva “The Garden” (http://www.outune.net/dischi/top-records/rush-clockwork-angels/58124).
A parte un paio di passi falsi, il disco merita quindi una promozione a buoni voti, anche se i capolavori degli anni d’oro sembrano ormai alquanto lontani. E per concludere ecco un quiz per tutti i fans dei Rush: l’orologio della copertina è regolato alle 21:12 precise… Vi suggerisce nulla?!?! (http://www.thewallofsound.it/2012/08/18/rush-clockwork-angels/)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


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