sabato 28 luglio 2012

THE CULT: “Choice Of Weapon” è quanto di meglio possiate far ascoltare a chi vi chiede chi sono i The Cult!


RADI@zioni / Disco Hot N° 14:
THE CULT “Choice Of Weapon” (2012)

Grande ritorno della band inglese giunta con questo al suo 9° album. Sono ormai 30 anni che The Cult sono sulla cresta dell’onda e questo nuovo capitolo discografico presenta per davvero tutte le caratteristiche del sound unico di questo gruppo.
Sono sempre riusciti a stare sulle epoche musicali, a volte anticipando le mode, altre ancora compiendo buchi nell’acqua. Ma questo nuovo disco ricorda un po’ i grandi classici della band come “She Sells Sanctuary” o “Rain”.
Una formazione solida, forse la migliore mai avuta: Ian Astbury in gran spolvero, Billy Duffy sempre brillante, Chris Wyse al basso e John Tempesta alla batteria (gli ultimi due in pianta stabile solo dal 2006).
“Choice Of Weapon” è quanto di meglio possiate far ascoltare a chi vi chiede chi sono i The Cult.
(Carmine Tateo)

Tracce consigliate:


JULIAN COPE - "Psychedelic Revolution": storie di insurrezione e di nuove tradizioni culturali, storie di sessimo e razzismo. Un disco che impegna profondamente l'inconscio dell'ascoltatore!


Julian Cope “Psychedelic Revolution” (Head Heritage, 2012) - www.headheritage.co.uk

Tracklist:
CD1 - Phase of CHE GUEVARA
1. Raving on the Moor (ascolta: http://youtu.be/27jjSTGvhVQ)
2. Vive Le Suicide
3. Cromwell in Ireland
4. Revolutionary Man
5. As the Beer Flows Over Me
6. Hooded & Benign

CD 2 - Phase of LEILA KHALED
1. Psychedelic Revolution (ascolta: http://youtu.be/s_s1U_X7D_g)
2. X-Mass in the Woman’s Shelter (ascolta: http://youtu.be/3vWjuHm1jXc)
3. Roswell (ascolta: http://youtu.be/6XA9e2NBW_w)
4. Because He Was Wooden
5. The Death of Rock‘n’roll

“Signore e Signori”, piante e animali, cielo e terra: il Druido è tornato! È tornato, per noi e per voi, per guidarci ancora una volta attraverso una “rivoluzione psichedelica universale”. È tornato a piedi nudi con “Psychedelic Revolution” doppio album, undici brani e tanta voglia di ballare. Album politico-culturale, scomodo su ogni ambito (sessismo e razzismo in primis) la prima parte dedicata ad Ernesto “Che” Guevara, la seconda a Leila Khaled. Una simbiosi perfetta fra “eroe” ed “eroina”, fra musica, cultura e politica in chiave psychedelic/folk. Julian David Cope è un nome che verrà ricordato non solo per il suo estro musicale, ma sopratutto per la sua psiche genialmente incomprensibile per dei semplici esseri umani dal colletto bianco. (http://stordisco.blogspot.it/2012/03/julian-cope-psychedelic-revolution.html)
Alla faccia della “legge dei 40”, che vorrebbe veder confinati ad una carriera improduttiva (qualitativamente parlando) e di basso profilo gli artisti che hanno già compiuto i 40 anni, Julian Cope si ripresenta puntualmente con un nuovo album che sembra avere tutta l’intenzione di voler ribadire per l’ennesima volta chi è stato, nell’arco di un decennio o poco più (quello degli ’80), uno dei più degni interpreti del pop di marca psichedelica, prima che band come gli Animal Collective riuscissero ad appropriarsi della sua antica formula e gettare le basi in tempi più recenti per nuove frontiere elettroniche. Proprio lui, la testa matta della Liverpool degli ’80s, che di anni, per inciso, ne compirà 55 ad ottobre, si getta nell’ impresa di un doppio concept, alla “vecchia maniera”, ispirato da Che Guevara per quanto concerne la prima parte e da Leila Khaled (politica per il Fronte Popolare per la liberazione della Palestina che definire attivista è un eufemismo) per la seconda. Un’operazione più che mai per concentrare, nell’arco di un’ora piena, quegli ideali per cui il nostro ha strenuamente combattuto ed in cui ancora oggi fermamente crede: la rivoluzione per difendere se stessi ed il prossimo, innanzitutto, per poi rivolgere le attenzioni in maniera più dettagliata al tema della falsità delle religioni monoteistiche in generale. Tutte questioni che il Cope aveva manifestato di voler concentrare già nel suo precedente “Citizen Cain’d” del 2005.
Possiamo senza dubbio considerare “Psychedelic Revolution” uno dei titoli migliori del “Druido di Liverpool” da qualche anno a questa parte perché tutti gli elementi sopra descritti sono per la prima volta collocati in un contesto tipico del miglior Cope, quello eclettico e noncurante della parola normalità. Le undici tracce del disco difatti lo mostrano pienamente a suo agio nel plasmare una serie di inni folk-psichedelici alienati ed alienanti, per un concept dal sapore più solare ed aperto, in controtendenza al suo comportamento – direttamente ispirato dall’idolo Syd Barrett – che lo vorrebbe isolato dal resto del mondo.
La potenza psichedelica di questo nuovo “Psychedelic Revolution” risulterà invece decisamente debole per chi conosce già i capolavori a base di anfetamine ed eroina di Cope (con “Kilimanjaro” e “Fried” in cima alla lista), non abbastanza però da ripugnare completamente piccole attrazioni frizzantine come “Raving On The Moor”, inno introduttivo di stampo cinematografico, o “Vive Le Suicide”, che con toniche staffilate di chitarra acustica wah si scontra con la nozione occidentale secondo la quale il suicidio per una buona causa sia giusto. E mentre i paragoni con l’eroe e l’eroina a cui sono intitolati i due atti si avvicinano a nomi del calibro di Gesù Cristo e Malcolm X, la seconda parte accentua maggiormente le componenti wave e prog – nel primo caso aggiungendo eleganti sezioni di synth (“Psychedelic Revolution”, “X-Mass In The Woman’s Shelter”), nel secondo aumentando a dismisura la componente folk (“Roswell”, “The Death Of Rock’n'Roll”) – dimostrandosi spigliata, astratta e gradevole rispetto alle prime sei tracce, consolidando ulteriormente lo status di uscita da non sottovalutare. (http://www.impattosonoro.it/2012/04/25/recensioni/julian-cope-psychedelic-revolution/)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


venerdì 20 luglio 2012

FATHER JOHN MISTY: “Fear Fun” è album da leggere su più livelli, lontano dai facili riferimenti tipici del genere e, soprattutto, dotato di una scrittura solida per una voce espressiva e sicura

FATHER JOHN MISTY "Fear Fun" (Bella Union, 2012) -  www.fatherjohnmisty.com

Tracklist:
1. Fun Times In Babylon (ascolta: http://www.youtube.com/watch?v=qqFzttEen4M)
2. Nancy From Now On (ascolta: http://www.youtube.com/watch?v=iS84BMFszW0 )
3. Hollywood Forever Cemetery Sings (ascolta: http://www.youtube.com/watch?v=KtOToiIDNRA)
4. I’m Writing A Novel
5. O I Long To Feel Your Arms Around Me
6. Misty’s Nightmares 1 & 2
7. Only Son Of The Ladies’ Man (ascolta: http://youtu.be/F1mc1BtkzSw)
8. This Is Sally Hatchet
9. Well, You Can Do It Without Me
10. Now I’m Learning To Love The War
11. Tee-Pee’s 1-12
12. Every Man Needs A Companion

Father John Misty è un alter ego che nasce da ragioni molto private e contraddittorie, lo spiega lo stesso J Tillman, songwriter, batterista, barbuto menestrello di Seattle che come spesso accade ha sfruttato il proprio dolore personale per dare fuoco alle visioni di questo “Fear Fun”, sorta di esordio o ripartenza. Dopo una serie di intriganti, acclamati dischi nel solco del più puro folk americano degli anni 2000 (vedere alla voce Bonnie Prince Billy e Iron&Wine), la sua trasformazione in Father John Misty sancisce l'età adulta, quella in cui mettersi "in mostra" celandosi in realtà con scherno dietro un nome fittizio. Così Tillman spiega direttamente l'intenzione di curare depressione e ferite, anche mancanza di ispirazione e perdita di contatto con la musica, attraverso una nuova creatura collettiva che paradossalmente potesse raccontare i suoi luoghi oscuri, le sue visioni bizzarre, ma anche le immagini più terra-terra e l'umorismo di certi pensieri quotidiani.
Lasciati alle spalle definitivamente i Fleet Foxes (parentesi dal 2008 ad oggi, mai abbandonando però la sua parallela carriera solista) J Tillman ha scovato l'anima gemella in Jonathan Wilson, re mida della rinascita rock californiana: dal suo decantato “Gentle Spirit” a “Fear Fun” il passo è breve, anche se di mezzo staziona il lavoro non indifferente del quotato Phil Ek in sede di missaggio. L'ingegno di quest'ultimo sulle numerose demo imbastite dalla coppia Tillman-Wilson negli studi situati nel Laurel Canyon non è infatti da sottovalutare per l'esito finale: un disco aggraziato che sparge effluvi soft rock e country lisergico, ballate struggenti che uniscono il sole scuro della California di Dennis Wilson con l'eleganza di Harry Nilsson, le fragranze agresti di un fuorilegge texano  con l'inquietudine sudista di Gram Parsons, trascinando infine l'incantato e allucinogeno folk rock psichedelico di un disco come il citato “Gentle Spirit” (di Jonathan Wilson) su terreni più contenuti. (rootshighway.it)
“Fear Fun” è un disco piuttosto solare, colorato da afflati quasi soul che impreziosiscono la scrittura, già di per sè su buonissimi livelli. La voce di Josh Tillman appare espressiva e duttile fin dall'iniziale Funtime In Babylon, il ritmo si alza con “I'm Writing A Novel” che col suo piano sfrenato è uno degli episodi più movimentati. Su tutto aleggia quella particolare atmosfera crepuscolare che caratterizza il Laurel Canyon (si ascoltino “Only Son Of The Ladies’ Man” oppure “O I Long To Feel Your Arms Around Me”), il rock americano (“Hollywood Forever Cemetery Sings”) e una psichedelia soffusa (“Nancy From Now On”) che rimescola in maniera personale il canone classico. Sarebbe da dire ancora dei giochi di parole nei testi, dei riferimenti letterari, perché “Fear Fun” è album da leggere su più livelli, lontano dai facili riferimenti tipici del genere e, soprattutto, dotato di una scrittura solida per una voce espressiva e sicura. Due cose che difficilmente passano inosservate. (sentireascoltare.com)
(Rino De Cesare)


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