sabato 19 maggio 2012

BRUCE SPRINGSTEN / "Wrecking Ball": Una crisi ci costringe a tornare alle domande

BRUCE SPRINGSTEEN “Wrecking Ball” (Columbia/Sony, 2012) – www.brucespringsteen.net


Tracklist:
01. We Take Care of Our Own (ASCOLTA http://youtu.be/fkEU3JjNARs)
02. Easy Money
03. Shackled and Drawn
04. Jack of All Trades (ASCOLTA http://youtu.be/Io94uIIaRJs)
05. Death to My Hometown
06. This Depression
07. Wrecking Ball (ASCOLTA http://youtu.be/_2KNqxwt4Qg)
08. You¹ve Got It
09. Rocky Ground
10. Land of Hope and Dreams (ASCOLTA http://youtu.be/N3ojeSiIlXc)
11. We Are Alive

Apriamo subito con una citazione colta: “Una crisi ci costringe a tornare alle domande”, diceva Hannah Arendt, filosofa e storica tedesca naturalizzata statunitense (1906-1975). E di domande da porre, Bruce Springsteen ne ha parecchie in "Wrecking Ball": le domande dell'America al tempo della recessione, le domande portate dal vento della crisi. Dove sono gli occhi capaci di vedere? Dove sono i cuori capaci di misericordia? Le grida subito in faccia, le sue domande, mostrando i muscoli nel singolo "We Take Care Of Our Own". Sembra solo il classico inno da stadio, ma l'inquietudine che nasconde è più profonda: il senso di smarrimento di una promessa tradita, e al tempo stesso il desiderio di ricominciare. Mettendosi in gioco in prima persona, ripartendo dai legami che contano. Prendendosi cura di sé stessi. Era dai tempi di "The Rising" che Springsteen non realizzava un disco così compatto e risoluto, almeno tra quelli pubblicati al fianco della E Street Band dopo la reunion. I suoi immarcescibili compagni d'avventura, a dire la verità, stavolta sembrano avere un ruolo decisamente più marginale del solito. Ma in "Wrecking Ball" Springsteen punta a ritrovare l'orgoglio, dopo le scialbe prove di "Magic" e "Working On A Dream". E anche se il riscatto riesce solo in parte, pur sempre di un riscatto si tratta. (ondarock.it)
 “Wrecking Ball” è figlio della necessità di raccontare gli Stati Uniti ai tempi della crisi, di mettere nero su bianco tutta la disillusione di un sogno americano che rimane tale e prende sempre più i contorni dell’utopia. I testi sono enormi, piccole grandi pagine di epopea folk costruiscono un mosaico di piccole e grandi sconfitte, perdite amare e promesse non mantenute. Nelle parole è un disco dannatamente attuale, se vogliamo anche necessario, almeno per tutti quelli che in Springsteen hanno in qualche modo sempre creduto. La produzione è passata dalle mani di Brendan O’ Brien a quelle di Ron Aniello; tutto quello che ci aveva fatto storcere il naso, che ci sembrava sin troppo “laccato” nei lavori immediatamente precendenti a questo adesso è solo accennato, come nel caso del primo singolo già citato e in un altro paio di momenti. Per il resto le canzoni svestono gli abiti luccicanti del pop in favore di un aspetto più naif, vicino al folk tradizionale delle “Seeger Sessions”. (indieforbunnies.com)
Sarebbe però sbagliato pensare a Wrecking ball come semplicemente ad un “istant record”, ad un lavoro d’attualità che prende le mosse dal 2008, il punto più basso della nuova depressione americana: dal punto di vista musicale l’album risulta uno stupendo collage di suoni della storia degli States in cui emergono il rock scoperto da Bruce all’Ed Sullivan Show, il folk irlandese, le ballate country innervate da violini, il roots rock alla T. Bone Burnette, il gospel, lo spiritual e persino l’hip-hop. “Wrecking ball” è anche il primo disco senza “Big Man” Clarence Clemons, un fratello più che un amico, il cui sax inconfondibile e malinconico risuona nel penultimo brano, la maestosa “Land of Hope and Dreams”. Alla vigilia dei 63 anni che compirà a settembre e di un nuovo tour che toccherà in giugno anche l’Italia, Springsteen si conferma in grande forma non solo musicale. Nessuno come lui è capace di “leggere” la realtà della gente comune e coniugarla con l’energia del rock. In tempi come questi è un fatto straordinario! (outsidersmusica.it)
(Rino De Cesare)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


sabato 12 maggio 2012

IL TEATRO DEGLI ORRORI: 16 storie di migrazione... verso un mondo nuovo!

IL TEATRO DEGLI ORRORI “Il Mondo Nuovo” (La Tempesta / Universal, 2012) – www.ilteatrodegliorrori.com
Tracklist:
01. Rivendico (ascolta http://youtu.be/bdXS51a8U-w)
02. Io cerco te (ascolta http://youtu.be/K5LUwe4DlLo)
03. Non vedo l'ora
04. Skopje (ascolta http://youtu.be/R2e6UZHCZYI)
05. Gli Stati Uniti d'Africa
06. Cleveland – Baghdad
07. Martino
08. Cuore d'oceano
09. Ion (ascolta http://youtu.be/kBLe9Hj8AkI)
10. Monica
11. Pablo
12. Nicolaj
13. Dimmi addio
14. Doris (ascolta http://youtu.be/CkbbFjU1I0o)
15. Adrian
16. Vivere e morire a Treviso
Dopo mesi di segnali poco incoraggianti e futuro incerto, visti gli annunciati cambi di formazione e il ritorno in pista degli One Dimensional Man (primigenia band da cui provengono alcuni degli elementi de Il TDO), la band rimette insieme i pezzi e pubblica il fatidico 3° album. “Il Mondo Nuovo” è un lavoro ambizioso che vuole fornire un ritratto dell’Italia di oggi attraverso 16 storie di viaggiatori: migranti, immigrati, clandestini. Messe da parte quasi del tutto le intemperanze noise dell’ottimo esordio “Dell’Impero Delle Tenebre” (2007), il Teatro consolida i suoi punti di forza (una band compatta e potente, arrangiamenti curati, la voce narrante dell’istrionico Pierpaolo Capovilla) e ci aggiunge un tocco di musica etnica. Il registro letterario e il gusto per la citazione “colta” rendono Il TDO, ancora una volta, una band da amare o da odiare in egual misura, ma costituiscono il tratto distintivo di una band che ha saputo costruire una felice via italiana al rock prossimo venturo. L’album si snoda attraverso attraverso un mosaico di cronaca nera, impressioni, drammi e indifferenza nel paese dove democrazia e xenofobia si alimentano a vicenda. Una conferma, sebbene il tiro beffardo del primo album resti insuperato! (Nicolò Carli, “Rock Hard” N° 28/feb.2012)
Dal 2007 ad oggi Il Teatro Degli Orrori è riuscito dove poche altre rock band nazionali sono riuscite in tempi recenti. Partiti come un’evoluzione musicale degli One Dimensional Man (tornati in pista di recente per ricordarci di non essere mai morti), il TDO, con due strepitosi album di noise-rock nerissimo, la voce (e la lingua) onesta e rovente di un leader tanto puro quanto mefistofelico, e migliaia di palchi calcati sempre col medesimo impeto, sono riusciti a diventare una delle più importanti formazioni rock tricolori, stipando di affiatati ascoltatori il più piccolo dei club come il più ambito palazzetto o festival specifico. Capovilla ha descritto questo “Il Mondo Nuovo”, nelle interviste, come un lavoro “commerciale”, ma basta ascoltarlo per rendersi conto che Il TDO non ha certo tolto il piede dall’acceleratore, ma ha lavorato per rendere più comprensibile il proprio lavoro senza smussarne neppure uno spigolo. Ciò che si nota di più è lo sforzo dello stesso Capovilla di far comprendere il proprio messaggio anche trattenendo, talvolta, la propria verve nell’interpretazione proprio per far arrivare il proprio messaggio ad un più ampio numero di persone. Un grande affresco che avrebbe potuto essere ridotto e limato, ma che non mostra alcuna flessione nel talento di una band che merita di essere conosciuta da un più ampio pubblico. Una band capace di parlare di morte quanto di amore con la stessa passione. (Giuseppe Fabris, www.rockol.it/recensione-4811/Il-Teatro-degli-Orrori-IL-MONDO-NUOVO)
Chi sostiene che il rock è morto non ha fatto bene i conti con “Il Mondo Nuovo”, il nuovo album de Il TDO, che arriva dopo il clamoroso successo di “A Sangue Freddo” (2009), capace di portare alla ribalta le gesta di una band indubbiamente fuori dalle convenzioni. Chi conosce il percorso artistico del gruppo veneziano sa che non ama usare le mezze misure. La strada fin qui tracciata li conduce nei sentieri rassicuranti della musica di qualità, concepita attraverso un suono potente e intrigante, abilmente contrapposto ai contenuti romantici dei testi. A conti fatti il disco è inevitabilmente politico, le traiettorie che lo dirigono sono manifeste e si mescolano tramite le consuetudini che regolano, da sempre, le dinamiche del quartetto. Le caratteristiche narrative, divenute un vero e proprio marchio di fabbrica, trovano la massima esposizione in “Ion”, canzone d’amore nella quale si cela la tragedia di Ion Cazacu, operaio rumeno “ucciso dal fuoco” a seguito di gravi ustioni, nel 2000, a Varese. Spazio anche alle rivisitazioni “e non alle cover” come tiene a specificare Capovilla: “Doris” (canzone degli Shellac) rivive nel disco in omaggio alla band di Chicago. Ed è proprio questo tipo di operazione che crea il fil rouge con gli esordi; basti pensare a “Dio Mio(nell’album “L’impero Delle Tenebre” del 2007), pezzo in grado di rivisitare “Eyeball” degli Scratch Acid, non a caso band storicamente attigua agli Shellac. (www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/27/mondo-nuovo-teatro-degli-orrori/187035/)
Notazioni a margine: il dipinto raffigurato sulla copertina dell'album si intitola “Face Cancel”, opera di Roberto Coda Zabetta. Tra gli ospiti intervenuti nella realizzazione dell’album: Caparezza, Rodrigo D’Erasmo (Afterhours), Andrea Appino (Zen Circus), Aucan, Egle Sommacal e molti altri ancora.
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, realizzato con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Angelo Olive, Mimmo Saponaro e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica “Ciccio Riccio” (www.ciccioriccio.it) di Brindisi.


DJANGO DJANGO: geni nell'arte del riciclo!

RADI@zioni / Disco Hot N° 10:
DJANGO DJANGO “Django Django” (2012)

Arrivano da Edimburgo ma ormai sono di casa nell’East London. Ci hanno messo 3 anni per arrivare a pubblicare il loro 1° album che è stato anticipato dal loro 1° singolo (pure compreso in questo lavoro). Provare a descrivere la musica dei Django Django è tutt’altro che semplice: i ragazzi si divertono come matti a mescolare e rimescolare generi, ritmiche, strumenti ed epoche pure distanti tra loro
La band è stata acclamata dalla critica inglese come la miglior cosa che si potrà ascoltare in questo 2012 e tra l’altro si candida ad essere presente nelle tantissime classifiche che ci inonderanno alla fine di questo anno… ma il giudizio lo lasciamo tutto a voi che ci ascoltate. Hanno buttato dentro il pentolone tutte le loro passioni correndo il rischio di creare un “pasticcio giovanilista”… e invece no… i Django Django si sono rivelati dei geni nell’arte del riciclo!
(Carmine Tateo)

Tracce consigliate:
LIFE’S A BEACH (http://youtu.be/5w981vZVpqA)
SKIES OVER CAIRO (http://youtu.be/l9Ij_Jp7sWQ)


sabato 5 maggio 2012

JACK WHITE: Buona la prima!

Jack White “Blunderbuss” (Third Man Records, 2012) – www.jackwhiteiii.com

Tracklist:
1. Missing Pieces (VIDEO 
http://youtu.be/bc6pRmdlna0)
2. Sixteen Saltines
3. Freedom at 21
4. Love Interruption (VIDEO http://youtu.be/iErNRBTPbEc)
5. Blunderbuss (VIDEO http://youtu.be/UqMlNi8gZXk)
6. Hypocritical Kiss
7. Weep Themselves to Sleep
8. I’m Shakin’
9. Trash Tongue Talker
10. Hip (Eponymous) Poor Boy
11. I Guess I Should Go to Sleep
12. On and on and on
13. Take Me with You when You Go (VIDEO http://youtu.be/9U57Rlcpd-E)

Prendere l'r'n'b degli anni 70, l'heavy-rock e i Led Zeppelin, unirli al blues, al jazz e al country e, infine, mescolare. Il tutto in soli 42 minuti, tra elettronica e acustica, chitarre e clarinetti, falsetti schizzati fuori dal pentagramma e suadenti voci nere. “Blunderbuss” è il menu che solo uno come Jack White poteva osare di proporre, con la sua poliedricità musicale, i suoi amici e anche - si sa - i suoi soldi. Mr. John Anthony Gillis è un po' il Johnny Depp del rock: esuberante, tra il gotico e il freak, regala un sapore inconfondibile a ognuno di questi tredici pezzi, prodotti e registrati per lo più a Nashville, nella sede della Third Man (label di cui è proprietario). Intorno a White si muove inoltre un cast d'eccezione, tra cui svariate voci femminili, come la ghanese Ruby Amanfu e la modella/cantante Karen Elson (seconda ex-moglie di White), la meravigliosa pianista Brooke Waggoner, il contrabbassista Bryn Davis e addirittura un intero gruppo, il signor Pokey La Farge con i suoi South City Three. Molti di loro sono presenti anche nel tour che promuove l'album, in una particolare line-up: ci sono due band, una fatta da soli uomini, l'altra da sole donne, con White a decidere "a colazione chi suonerà la sera". (ondarock.it)
Ripercorrendo il recente passato di Jack White, sono molti gli indizi che potevano far supporre l’evoluzione solista della sua carriera. Il più plateale è la fine degli White Stripes, annunciata ufficialmente lo scorso febbraio ma nell’aria da diverso tempo. I progetti paralleli a cui ha dato vita (The Raconteurs, Dead Weather) mostrano però come il chitarrista da diverso tempo si sentisse limitato in una formula che, all’insegna del minimalismo garage, non concedesse spazio alla ricerca sonora e ad arrangiamenti curati. Se però vogliamo scegliere un punto di partenza da cui Jack sembra essersi mosso, a livello di sound, per arrivare al suo esordio solista, dobbiamo riprendere una sua collaborazione fatta nel 2008 con la stella del pop, Alicia Keys: si tratta di un pezzo intitolato “Another Way to Die”, scritto e prodotto da White per la colonna sonora del film “Quantum of Solace”. È in questa canzone che troviamo i semi sbocciati in “Blunderbuss”, esordio che ci mostra finalmente le potenzialità personali del cantante. (rockisland.it)
Questo è un disco che non sarebbe mai nato, se Jack White non vivesse a Nashville. Lo ha detto lui stesso. Se avete dubbi, ascoltate "I guess I should go to sleep" e poi ne riparliamo. Anche il finale è all'altezza delle premesse. La nenia indianeggiante di "On and on and on" è, insieme a "Love interruption" e "Blunderbuss", il vertice dell'album, forte di un giro di contrabbasso killer. A chiudere il cerchio ci pensa la jazzata "Take me with you when you go", arrangiata con un intreccio di voci a incastro e chiusa con un altro brillante assolo di chitarra. "Blunderbuss" apre una strada diversa, fuori dal tratto seguito finora con White Stripes, Raconteurs e Dead Weather. È più che mai un omaggio ad un epoca che è stata e non sarà più, ma è stato fatto con attenzione quasi filologica alle "fonti" e con grande passione. Non è solo un disco di revival, è qualcosa di più. Musica che Mr.White e pochi altri oggi si possono permettere di fare. E per concludere… un appello: preserviamo Jack, è una specie rara. Rarissima! (rockol.it)
(Rino De Cesare)



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