domenica 26 settembre 2010

NEW PORNOGRAPHERS, eredi dei Fleetwood Mac?




NEW PORNOGRAPHERS “Together” (2010)
Sono arrivati al 5° disco i New Pornographers. Gli ingredienti di base restano gli stessi di sempre: un riuscito mix fra la contagiosa solarità delle composizioni e gli splendidi apporti di voce della girl-leader Neko Case. Per molti il precedente “Challengers” (2007) era stato una deviazione incompresa, ma proprio per questo motivo “Together” riporta la band ad esprimere dell’ottimo indie-pop made in Canada. Con la pazienza di un paio di ascolti saltano fuori i toni melodici che soddisfano l’orecchio. Le tracce proposte sono gradevoli e perfette per essere consumate nei mesi estivi. La band ha ormai raggiunto un equilibrio ammirevole. Abbiamo finalmente trovato gli eredi dei Fleetwood Mac. Tutto da ascoltare “Together”!
(Carmine Tateo)

CATHEDRAL, uno dei migliori progetti metal del Regno Unito


CATHEDRAL “The Guessing Game” (Nuclear Blast/Warner Music, 2010)
www.cathedralcoven.com
Tracklist:
CD. 1
01. Immaculate Misconception
02. Funeral Of Dreams
03. Painting In The Dark
04. Death Of An Anarchist
05. The Guessing Game
06. Edwige's Eyes
07. Cats, Incense, Candles & Wine
CD. 2
01. One Dimensional People
02. Casket Chasers
03. La Noche Del Buque Maldito (aka Ghost Ship Of The Blind Dead)
04. The Running Man
05. Requiem For The Voiceless
06. Journey's Into Jade
Due cd, 13 pezzi, un’ora e 24 minuti di durata: questi sono i numeri di “The Guessing Game”, 9° album per la band di Lee Dorrian, che intende così celebrare i due decenni di carriera dei Cathedral; anche se, a ben vedere, il 20° anniversario è scoccato lo scorso anno. Al di là delle cifre di presentazione, quest’opera è davvero ambiziosa, non solo per la sua mole, ma soprattutto per quello che il quartetto inglese ha tentato di condensare al suo interno. (http://www.outune.net/dischi/hard/progressive-doom-cathedral-the-guessing-game-2010.html) … e allora, signore e signori, bentornati nell'assurdo universo dei Cathedral! Una sorta di dimensione parallela dove la band è riuscita a proiettarci già a partire dal funereo esordio, “Forest Of Equilibrium”, continuando poi con veri e propri capolavori del calibro di “The Carnival Bizarre” o “Caravan Beyond Redemption”, giusto per citarne un paio. Un gruppo che ha sempre cambiato pelle, ma non la sostanza delle proprie composizioni, partendo dal doom soffocante degli esordi, fino ad arrivare ad un sound settantiano, anche piuttosto grezzo in alcuni casi, ma che non ha mai perso il potere di affascinare e di richiamare alla mente territori surreali e lontani dagli schemi cognitivi di un essere umano normale (o quantomeno sobrio). “The Guessing Game” arriva giusto in tempo per festeggiare un ventennio di onorata carriera, si diceva, ed a ben cinque anni di distanza dal precedente “Garden Of Unearthly Delights”, disco che rappresentava l'ennesimo cambio di rotta, per il combo di Coventry, verso un sound di gran lunga più roccioso e, a tratti, anche abbastanza difficile da digerire. Seguendo, quindi, la linea logica di Lee Dorrian e soci, anche in questo caso non si può far altro che aspettarsi un’ulteriore evoluzione. In effetti è proprio così, anche se non del tutto. Partiamo dal fatto che, per la prima volta, da vent'anni a questa parte, la band inglese ci regala addirittura un doppio CD, giusto per farsi perdonare per la lunga assenza. La caratteristica fondamentale di “The Guessing Game” è però un'altra: la divisione in due dischi non è casuale, visto che ci troviamo di fronte ad una prima parte assolutamente malata e che fa quasi indigestione di sperimentazione ed influenze diverse, mentre la seconda sezione lascia spazio ai "soliti" Cathedral, senza comunque abbassare la qualità di un disco che si attesta su livelli piuttosto alti. Ma andiamo per ordine. Si parlava di sperimentazione e nel primo disco di “The Guessing Game” ce n'è tanta da fare andare fuori di testa il più accanito dei puristi del genere. Inserti di organo e sezioni orchestrali sono solo una piccola parte di quel che hanno in serbo i Cathedral per l'ignaro ascoltatore, il quale si ritroverà immerso in un turbine di prog, rock, folk, doom e psichedelia. L'anima doom, messa nettamente in ombra nel primo disco, torna però ad avere un ruolo da protagonista nella seconda sezione di “The Guessing Game” che lascia comunque di tanto in tanto ancora spazio a qualche sprazzo di psichedelia settantiana. L’oggetto in questione è, insomma, un disco che, nonostante varie influenze, e senza perdere comunque il trademark Cathedral, non fatica a trovare una sua dimensione, riuscendo anche a stupire per freschezza e immediatezza. Che dire? La band di Coventry si è fatta sicuramente attendere più del previsto, ma cinque anni di silenzio discografico sono stati ripagati con un album che, senza nulla togliere ai capolavori del passato, non può fare altro che piazzarsi fra le migliori release del gruppo inglese, nonché candidarsi anche come una delle uscite più interessanti di questo 2010. Un cenno finale è d'obbligo, anche se non è una novità, all'ennesimo stupendo artwork realizzato da Dave Patchett, ormai un'assoluta garanzia per quanto riguarda la parte grafica degli album della band. (http://truemetal.it/reviews.php?op=albumreview&id=8720)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Fernando Falcolini, Angelo Olive e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisiwww.ciccioriccio.it.

giovedì 16 settembre 2010

MENOMENA: originali e personali come pochi!


MENOMENA “Mines” (Barsuk, 2010)
www.menomena.com
Tracklist:
queen black acid
taos
killemall
dirty car­toons
tithe
bote
lunchmeat
oh pretty boy, you’re such a big boy
five little rooms
sleeping beauty
intil

Terzo disco per il trio di Portland, e forse quello che guarda alla forma canzone con meno boicottaggi. Vero che parlare di forma per i pezzi dei Menomena è azzardato: parte della fortuna dei dischi precedenti era dovuta al famigerato Deeler, il software ideato da Brent Knopf che permette alla band di costruire le canzoni attraverso improvvisazioni e aggiunte sovrapposte a dei loop basilari. Ne sono sempre scaturite figure sghembe e labirintiche, piene di dettagli in mutazione costante. La tecnica non è cambiata per questo “Mines”, ma è forse cambiata l’attitudine. Il Deeler non viene usato solo per scomporre le architetture dei brani, ma anche per ricomporle. Molti pezzi partono spogli e sfilacciati, costruiti su pochi elementi che si inabissano e riemergono come fiumi carsici, fino a quando il quadro cubista non viene armonizzato con una specie di messa in asse delle diverse parti strumentali. E allora, spesso nel minuto finale, i pezzi dei Menomena rivelano tutto il loro potenziale pop. Che è tanto! (http://www.storiadellamusica.it/Menomena_-_Mines_%28City_Slang,_2010%29.p0-r3313)
L'album di debutto "I Am The Fun Blame Monster" era la cristallina sperimentazione di una nuova grammatica, che attraverso l'ausilio di tecnologie informatiche creava un rock artificiale, geometrico e completamente scevro di chitarre. "Friend Or Foe" era invece l'approdo a un suono più corposo e stratificato, quanto ricco di architetture più dense e variegate. "Mines" rappresenta un ulteriore coraggioso passo avanti verso l'esplorazione di mondi sonori mai limitatamente circoscritti al solo ambito rock, inteso nella sua concezione più classica. L'album si presenta, infatti, ricco di contaminazioni e avvincenti incroci tra elementi alt-rock contemporanei, psichedelia sixties, progressive rock melodico á la Genesis, derive jazz e curioso piglio world, tra spunti reggae e pulsazioni etniche che guardano ancora una volta a Peter Gabriel. Nel loro continuo spostare l'asticella, i Menomena tirano nuovamente fuori dal cilindro un album tanto ambizioso quanto compatto e omogeneo, che non lascia nulla al caso, evidenziando ancora l'originalità e la solida personalità di una band che, pur nei numerosi riferimenti, mantiene uno stile proprio e al momento imitabile da poche altre similmente virtuose. (http://www.ondarock.it/recensioni/2010_menomena.htm)
Ascoltando “Mines” ci si chiede davvero come sia possibile che i dischi di questo gruppo escano quasi in silenzio. E' impressionante la quantità di dettagli presente in ogni canzone, di certo non percepibile ai primi ascolti: ecco perché all'inizio “Mines” può sembrare quasi disomogeneo e pasticciato. In realtà, la capacità che eleva i Menomena una spanna al di sopra di tante altre band è proprio quella di raggruppare così tanti elementi in un corpo sonoro compatto e godibilissimo. Per esempio, è incantevole osservare come riescano a combinare sezioni ritmiche che rimandano al reggae con prepotenti escursioni jazzistiche. Ma, come dicevamo prima, solo un numero cospicuo di ascolti può svelare interamente la bellezza di questo disco: è bene precisare, infatti, di trovarsi di fronte a un disco complesso, ostico, inizialmente poco digeribile. Tuttavia non si può non notare l'elevata perizia tecnica di questo trio e la capacità di non essere mai banali, ma al contrario di sperimentare nuove soluzioni, in un costante confronto con sé stessi. E non è qualcosa che rimane solo a livello tecnico: questo disco sa anche coinvolgere emotivamente, toccare in profondità. (http://www.indie-rock.it/recensioni_look.php?id=1008) (Rino De Cesare)
“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Fernando Falcolini, Angelo Olive e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi – www.ciccioriccio.it.

sabato 4 settembre 2010

ARMORED SAINT: Il ritorno del Santo & La razza padrona

ARMORED SAINT “La Raza” (Metal Blade, 2010)
http://www.armoredsaint.com

Tracklist:
1. Loose Cannon
2. Head On
3. Left Hook From Right Field
4. Get Off The Fence
5. Chilled
6. La Raza
7. Black Feet
8. Little Monkey
9.
Blues
10. Bandit Country

Armored Saint sono una delle prime leggendarie band della scena heavy metal americana degli anni 80. Il gruppo del cantante John Bush e del bassista Joey Vera ha scritto alcune delle pagine più belle del classic metal con gli album “March Of The Saint”, “Delirious Nomad”, “Raising Fear” e “Symbol Of Salvation”, con una carriera ricca di risultati, di proposte e collaborazioni prestigiose: sia Bush che Vera hanno declinato l’invito di unirsi ai Metallica, il cantante ha realizzato vari album con gli Anthrax ed il bassista collabora tutt’ora con Fates Warning. A ben 10 anni di distanza da “Revelation”, il loro più recente album da studio, gli Armored Saint tornano con un nuovissimo lavoro ricomponendo il team che ha realizzato il bellissimo “Symbol Of Salvation” nel 1991: i sopracitati Bush e Vera, il batterista Gonzo Sandoval, i chitarristi Phil Sandoval e Jeff Duncan, ed il fonico Bryan Carlstrom. Il lavoro è stato prodotto dal bassista Joey Vera e registrato nei Tranzformer Studios di proprietà di Dave Jerdan (Alice In Chains e Jane’s Addiction tra gli altri nel suo curriculum), che è stato il produttore di “Symbol Of Salvation”. Ecco quindi 10 nuovi brani nel più classico stile Armored Saint, quell’heavy metal basato su riff entusiasmanti, su una ritmica solida, sulla graffiante voce di John Bush e sugli assoli duellanti di Sandoval e Duncan. “La Raza” è un grande disco heavy metal! È il ritorno del Santo! (http://www.audioglobe.it/disk.php?code=039841489125)

“La Raza”, in questo senso, è un lavoro emblematico, che sgorga direttamente dal cuore e che risale alle radici del sound degli Armored Saint: dentro i 10 brani che compongono il lavoro si possono ascoltare chiarissimi riferimenti all’hard rock settantiano, uniti ovviamente al classico sound dei losangelini e a qualche rimando leggermente più moderno, frutto della collaborazione di Bush con la band di Scott Ian e Charlie Benante. (http://www.metalitalia.com/cds/view.php?cd_pk=8677

“La Razza Padrona” può anche assentarsi quei 10 annetti buoni per fare altro, sperimentare nuove esperienze, dedicarsi anima e corpo a progetti differenti. Poi arriva il momento in cui si ritrova e – prima sequenze di note, poi interi brani, infine un album intero – va a comporre un altro capitolo della propria saga. “La Razza” è formata da cinque musicisti dal tocco divino, coalizzatisi in giovane età in una formazione troppo sfortunata per riuscire ad assaporare gli aspetti tangibili della gloria, ma capace di piazzare sul proprio cammino autentiche pietre miliari della storia del metal. Non ha bisogno di restare sempre unita, però sa quand’è il momento di tornare. John Bush e soci si sono presi tutto il tempo necessario per portare a termine il loro sesto disco. Privi di alcun tipo pressione, hanno potuto lavorare con calma e serenità a questo lavoro. Fuori da ogni classificazione che non sia quella di metal, punto e basta, gli Armored Saint sciorinano così in La Raza la classe dimostrata in un’intera carriera. Il talento non si è perso con gli anni, non c’è stanchezza, nostalgia o voglia di revival nei cinque di L.A., solo il gusto di comporre la musica che si sentono davvero addosso in questo momento, fusa ad una modernità di pensiero che porta le canzoni in una dimensione che guarda al passato di sfuggita, giusto per prendere con più convinzione la rincorsa verso il futuro. Loro suonano con un tasso di emozionalità che devi avere nell’anima, che non ti puoi inventare neanche esercitandoti sul tuo strumento per cent’anni, dieci ore al giorno. Poca immediatezza forse, ma una ricerca sonora sempre più ricca al crescere degli ascolti vi convincerà che il metal, col cavolo che ha già dato tutto…, c’è ancora tanto da scoprire, tanto da esprimere, da comunicare. Due parole sui singoli componenti: Bush canta divinamente e con grande eclettismo come ha sempre fatto in quasi trent’anni di onorato servizio, Duncan e Sandoval sono due chitarristi che non se li fila mai nessuno a livello individuale ma come feeling e senso del riff danno la paga al mondo intero, l’altro Sandoval sarà l’elemento meno appariscente del gruppo ma fa il suo lavoro, impeccabilmente, alla batteria, Joey Vera folleggia a più non posso disegnando linee di basso che un bassista medio se le sogna. Non fate l’errore di credere che sia solo un disco heavy metal, questo è il metal! (http://www.heavyworlds.com/reviews.php?id=636)

a cura di: Camillo “RADI@zioni” Fasulo

“RADI@zioni” è un programma curato da Camillo Fasulo, Marco Greco, Antonio Marra e Angelo De Luca, con la radi@ttiva collaborazione di Rino De Cesare, Fernando Falcolini, Angelo Olive e Carmine Tateo, in onda tutti i lunedì e venerdì tra le ore 22 e le 24 sull’emittente radiofonica Ciccio Riccio di Brindisi www.ciccioriccio.it.

IL GENIO della semplicità!

IL GENIO “Vivere Negli Anni X” (Disastro/Universal, 2010)


Passati alla storia recente della musica leggera nostrana per il simpatico tormentone “Pop Porno”, erano attesi al varco proprio per saggiare le potenzialità di questo duo che si fa chiamare Il Genio. 
Invece di allinearsi alle nuove tendenze che avrebbero potuto portare certamente più soldoni al loro portafogli, il duo si è tolto il gusto di rifare il verso a Serge Gainsbourg e a Daniel Guichard. Così, tra “brit-pop” e “pulp” la bellissima voce di Alessandra Contini e le strumentazioni coordinate da Gianluca De Rubertis riescono ancora a trasportare e a cullare l’ascoltatore fino alla fine di questo, diciamo riuscito, secondo capitolo. Non si può certo pretendere di più da chi ha fatto della semplicità il proprio stile musicale oltre che di vita.

(Carmine Tateo)


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